caso
caṡo s. m. [dal lat. casus -us, propr. «caduta», der. di cadĕre «cadere»; nel sign. 7, il lat. casus è un calco del gr. πτῶσις (che significava anch’esso propr. «caduta»)]. – 1. Avvenimento fortuito, accidentale e imprevisto: è stato proprio un c. ch’io me ne sia accorto; molto frequente la locuz. avv. per caso (meno com. a caso), per combinazione, accidentalmente: è avvenuto per c., l’ho incontrato per c., sono capitato lì proprio per c.; attraversando le sale per uscire, s’abbatté nel principe, il quale pareva che passasse di là a caso (Manzoni). In diritto, c. fortuito, ogni evento esterno alla volontà dell’individuo che gli impedisca di uniformarsi al precetto della legge o di adempiere a un’obbligazione (è in genere sinon. dell’espressione forza maggiore). 2. Per estens., causa irrazionale a cui si suole attribuire ciò che avviene indipendentemente dalla nostra volontà e, in genere, da un disegno o fine predeterminato (in questo senso, è contrapp. a necessità): è stato il c. che ha voluto così; io non ne ho colpa, pìgliatela col c.; Democrito, che ’l mondo a caso pone (Dante). 3. Più genericam.: a. Fatto, evento: è un c. frequente; un c. simile è successo anni fa; salvo c. imprevisti; c. singolare, raro, nuovo, strano, avverso. b. Vicenda, per lo più triste: i c. della vita sono tanti; pensare ai c. proprî; anch’io ho da pensare ai c. miei; è davvero un c. pietoso. c. Circostanza, congiuntura, occasione: regolarsi secondo il c. o i c.; mettetevi nel c. mio; se vi capita il caso. 4. Modo specifico con cui un fatto generico si presenta: è un c. imbrogliato, complicato, semplice, serio, difficile, disperato; c. clinico (v. clinico); caso limite (pl. casi limite), quello che, in una serie possibile di eventi o di situazioni, si considera come possibilità o modalità estrema. In partic., questione giuridica, morale o teologica: il c. è questo; il caso sta così; dimmi il c. come sta; la legge non contempla i c. particolari; non ne vorrete fare un c. di guerra (v. casus belli). In diritto canonico, c. di coscienza o caso morale, fatto concreto, reale o fittizio, che per le sue circostanze presenta speciali difficoltà circa l’esistenza di obblighi morali ad esso connessi; c. urgente, caso di grave e urgente necessità, all’infuori del pericolo di morte, in cui appare necessaria e indifferibile un’azione, cui osta una disposizione di legge; c. riservato, peccato e censura per la cui assoluzione, posta la loro gravità o influenza, non è competente un confessore ordinario, ma si deve ricorrere all’autorità superiore, cioè al vescovo (che conferisce l’assoluzione attraverso il canonico penitenziere) o al papa (che la conferisce attraverso la penitenzieria apostolica). 5. In varie locuz., acquista il senso di possibilità, probabilità: i c. sono due: o accetta o rifiuta; c’è c. che egli non venga; non c’è c. di fargli intender ragione, non è possibile, ecc.; o di eventualità: in c. di bisogno, in c. di morte, in questo c., in tal c., in ogni c., in qualunque c., in tutti i c., in nessun c., in c. contrario, nel peggiore dei casi. In altre esprime condizione, supposizione: poniamo o mettiamo il c. che egli non accetti; ammetti il c. che egli ne sappia qualcosa; nel c. che, c. mai o casomai, nell’ipotesi che, supposto che: nel c. ch’io non fossi in casa, vieni a cercarmi in ufficio (con altro sign., e come locuz. avv. con valore restrittivo, caso mai, tutt’al più: sono io, c. mai, che dovrei protestare); per c., per ipotesi, come rafforzativo del se: se per c. hai bisogno di me, scrivimi; metti il c., come inciso: se mio fratello, metti il c., fosse ammalato (v. anche putacaso); in c., al c., nel c., in c. contrario, semmai, altrimenti: credo di fare in tempo, al c. prenderò un taxi. 6. Locuz. particolari: a caso, sbadatamente, inconsideratamente, o tirando a indovinare: parlare a c., rispondere a c.; aprire il libro a c., come vien viene; gli uomini mi sembravano procedere come a c., ma invece mi accorgevo che la loro rapidità aveva un ordine, un senso geometrico (Romano Bilenchi); è il c., è opportuno, è il momento giusto, o c’è motivo: è il caso di tentare; non è il c. di prendersela tanto; vediamo se sia il c. di parlarne al babbo; non ringraziarmi, non è il c.; fare caso, badare, dare importanza: avete fatto c. a quanto ha detto?; non ci fate c., non ci badate, non dateci peso; non fare c. di quello che dice; non si può far c. delle sue promesse; non fa c. se anche non lo sai, non importa, ecc. Con altre accezioni: mi fa c. che non sia già qui, mi sorprende; a me queste cose non mi fanno più c., non mi sorprendono più, ci ho fatto l’abitudine; fare al c., essere conveniente, adatto: questo è proprio l’appartamento che fa al c. nostro, che si conviene a noi, che ci vuole per noi. Poco com., essere in caso di ..., essere in grado: taluno già agonizzante e non più in c. di ricevere alimento, riceveva gli ultimi soccorsi e le consolazioni della religione (Manzoni). 7. In linguistica, categoria grammaticale che concerne sia ciascuna delle forme che il nome (sostantivo, aggettivo o pronome) assume per esprimere un determinato rapporto sintattico, sia il rapporto sintattico stesso. I casi sono proprî delle lingue flessive o agglutinanti, e sono in numero diverso da lingua a lingua; nel latino classico, per es., erano 6, detti rispettivam. c. nominativo, o semplicem. nominativo come s. m. (e anche c. retto, in opposizione agli altri casi, detti obliqui), proprio del soggetto della frase, c. genitivo, esprimente soprattutto il rapporto di specificazione, c. dativo, accusativo, vocativo, ablativo (v. le voci). L’italiano, come le altre lingue romanze moderne, non conserva il caso come alterazione formale del nome (soltanto nel pronome personale si può distinguere ancora un nominativo: io, egli; un accusativo: me, lui; un dativo: mi, gli); nell’uso, peraltro, si parla talora di caso per indicare alcuni rapporti sintattici, soprattutto in quanto espressi mediante preposizione (e quindi c. genitivo per il compl. di specificazione: «del cittadino»; c. dativo per il compl. di termine: «al cittadino», ecc.). ◆ Dim. caṡétto, caso non grave, avventura lieta, fatto singolare e piacevole a raccontarsi: è stato un casetto curioso; a conto di ciò mi piace riportare un casetto (Giusti); pegg. caṡàccio, con uso partic. (v.).