castrare
v. tr. [lat. castrare]. – 1. a. Togliere a un animale, maschio o femmina, gli organi della riproduzione, o determinarne in altro modo l’atrofia, per renderlo più mansueto o più adatto all’ingrassamento: c. un cane, un gatto, un maiale, un vitello, un cavallo. Riferito all’uomo, è sinon. pop. di evirare. b. estens., non com. Estirpare o distruggere gli organi di riproduzione nelle piante. 2. Per simil., c. le castagne, inciderne trasversalmente la scorza prima di arrostirle, perché non scoppino quando si mettono al fuoco. 3. fig. C. un libro, uno scritto o sim., sopprimerne, per motivi di prudenza politica, religiosa o morale, qualche passo importante: molti articoli erano stati castrati dalla censura. Con altro senso fig., derivato in parte dal linguaggio psicanalitico, c. qualcuno, privarlo delle possibilità o dei mezzi per agire, bloccarlo nelle sue attese o aspirazioni e sim.; c. l’ingegno di qualcuno, isterilirlo, renderlo improduttivo; e nel rifl., castrarsi, mettersi da sé in condizione d’inefficienza, d’incapacità. ◆ Part. pres. castrante, anche come agg., usato nel linguaggio psicanalitico e in quello com., con sign. affine a limitante, o frustrante, che blocca cioè una possibilità, un’aspettativa, un’esigenza, o impedisce l’espletamento di una funzione, di un’attività, e sim.: avere una situazione familiare castrante; è stata per lui un’esperienza castrante. ◆ Part. pass. castrato, anche come agg. e s. m. (v. la voce).