cibare
v. tr. [dal lat. cibare, der. di cibus «cibo»]. – 1. Dar da mangiare, nutrire: il c. gli ammalati, quando il bisogno lo ricerca, è cosa salutevole (Varchi); più com. in senso fig.: c. di promesse, di lusinghe; Ma qui m’attendi, e lo spirito lasso Conforta e ciba di speranza buona (Dante). 2. rifl. Nutrirsi, mangiare: cibarsi di carne, di latticinî; cibarsi abbondantemente, moderatamente; in senso fig.: Messo t’ho innanzi: omai per te ti ciba, noto verso di Dante (Par. X, 25), con cui il poeta invita il lettore della Commedia a riflettere per proprio conto sull’ordine sapientissimo del creato, al quale egli ha accennato nei versi precedenti (la frase è spesso ripetuta come invito a elaborare e approfondire le idee o nozioni che vengono suggerite, o a trarre le opportune conseguenze da fatti che vengono segnalati). Con il sign. di nutrirsi, fu vivo anticam., e si sente ancora, il semplice cibare, usato transitivamente: Questo non ciberà terra né peltro (Dante, con riferimento al Veltro); cibâr le opime carni Di scannati giovenchi (V. Monti).