cieco
cièco agg. e s. m. (f. -a) [lat. caecus] (pl. m. -chi). – 1. a. Privo della vista, dell’uso degli occhi: diventare c.; essere c. dalla nascita; c. da un occhio; non sono mica c., per affermare che ci si vede bene o che si è certi di ciò che si è visto. Proverbî: in terra di ciechi beato chi ha un occhio, o chi ha un occhio è signore, per significare che, dove le condizioni generali sono cattive, anche la mediocrità può ritenersi soddisfacente (più com. nella forma lat. beati monoculi in terra caecorum); la gatta frettolosa fece i gattini c., le cose fatte con troppa fretta riescono male. Riferito a cose personificate: la fortuna è c., opera cioè senza discernimento, non guarda in faccia a nessuno; con sign. sim., il c. caso. b. s. m. Chi è privo della vista: rendere la vista ai c.; istituto per i c.; modo prov., non avere da far cantare un c., essere senza un soldo. c. Gioco del cieco: gioco popolare in cui i partecipanti, con gli occhi bendati, si cercano brancolando per colpirsi con fazzoletti annodati; mosca c., gioco per ragazzi, che si fa bendando uno di loro, il quale deve, così bendato, cercar di afferrare chi gli si avvicina e poi riconoscerlo. 2. Usi fig. a. Privo del lume della ragione, della vista morale: Lo mondo è c., e tu vien ben da lui (Dante); o che ha la mente annebbiata, turbata: c. dalla passione, dalla gelosia, c. d’ira, di rabbia; o che non vede, non capisce, non sente per insensibilità ciò che dovrebbe vedere o capire o sentire: essere c. davanti alle prove d’affetto di una persona, davanti alla bellezza di un’opera d’arte, ecc. b. Che rende ciechi, quindi fallace, ingannevole: un amore, un odio c.; o irragionevole, sconsigliato: la c. passione; in partic., obbedienza c., assoluta, di chi obbedisce senza discutere o domandare ragioni. c. Privo di luce, buio: l’aer nero e c. (Ariosto); tra le chiuse imposte Per lo balcone insinuava il sole Nella mia c. stanza il primo albor (Leopardi); cieco carcere (Dante), l’inferno; stanza, scala c., muro c., senza finestre che diano luce; finestra c., finta. d. Senza uscita: vicolo c. (anche fig., v. vicolo); le molte intricate e c. strade del labirinto (Caro). e. In anatomia, intestino c. (anche s. m., il c.), la porzione iniziale dell’intestino crasso, a forma di ampolla, interposta tra il tenue e il colon ascendente, da cui parte un processo tubulare, flessuoso (appendice vermiforme o cecale), che è una porzione del cieco rimasta atrofica; con questo sign., è frequente nell’uso medico anche la grafia ceco, che si preferisce nei termini composti (come per es. cecorrafia). f. Nascosto, coperto e sim.: punto c., cucitura i cui punti non si vedono esteriormente; ant., lettera c., non firmata, anonima. g. Lanterna c., che manda la luce verso gli oggetti lasciando nell’ombra chi la porta, e fatta in modo che, movendo una lamina, la luce si possa occultare senza spegnerla. h. In aeronautica, volo c., navigazione aerea strumentale. 3. Locuz. avv. alla cieca, senza riflettere, a caso, sconsideratamente: lavorare alla c.; buttar via i denari alla c.; menar colpi alla c.; in senso più proprio, giocare alla c., nel gioco degli scacchi, giocare senza guardare la scacchiera, figurandosela mentalmente. ◆ Dim. cechino o ciechino (v. la voce), cecolino. ◆ Avv. ciecaménte (meno com. cecaménte), alla cieca, senza veder nulla: nel buio della stanza urtava ciecamente contro i mobili; sconsideratamente, senza discernimento: la vendetta si abbatté ciecamente anche sugli innocenti; senza un attento esame, avventatamente: fidarsi ciecamente di qualcuno; perdutamente, con ardore: si era gettata ciecamente in quella passione senza valutarne i rischi.