citta diffusa
città diffusa loc. s.le f. Città cresciuta in modo disarmonico, al di fuori di ogni criterio regolatore. ◆ Certo, ogni progetto deve arrivare a uno strappo tra le due filosofie dominanti: quella di chi vorrebbe mummificarla in un destino museale «specializzandola a divenire luogo comune della nostalgia», e quella di chi pretenderebbe di «normalizzarla per omologarne la somiglianza a tutte le altre». Ora, siccome la storia è un «preziosissimo materiale di riflessione progettuale», ecco che [Vittorio] Gregotti allarga l’orizzonte all’intera «città diffusa», da Chioggia a Mestre, da Pellestrina alle isole urbane, trovandovi una razionalità antica cui riferirsi, dove l’acqua è «un’opportunità e non un impedimento» e la laguna «il liquido amniotico in cui Venezia vive». (Marzio Breda, Corriere della sera, 26 marzo 1999, p. 33, Terza Pagina) • Il termine «città diffusa» appare circa una decina di anni fa e sta a indicare fenomeni urbanistici o insediativi assimilabili, ma non univoci. Nel termine convivono i concetti di città decentrata, città dispersa, città di città. Di territorio dei cosiddetti «non luoghi» ovvero aeroporti, stazioni, capannoni commerciali e via dicendo. Città diffusa è anche un paesaggio occupato da innumerevoli singoli che costruiscono la loro villetta e il loro capannone in tale quantità da formare una sorta di città privata con costi altissimi per la comunità che deve provvedere, a posteriori, a tutti i servizi. E ancora, la città diffusa può essere determinata dai movimenti giornalieri di una certa popolazione: sono i movimenti delle persone che vanno a determinare l’estensione di una metropoli. (F[rancesca] Marzotto Caotorta, Sole 24 Ore, 16 novembre 2003, p. 47, Tempo liberato) • Un paesaggio volubile […], le cui trasformazioni possono sembrare impreviste: così come la campagna perde peso nella struttura territoriale (-16%), a prendere il suo posto non sono soltanto il tessuto urbano o brandelli di città diffusa, ma anche ampie aree di formazioni boschive o di cosiddetto «terzo paesaggio» (in crescita del 43%), e cioè arbusteti, aree di frangia e di risulta o di dismissione di attività dell’uomo, in cui la risacca della natura ricostruisce lentamente la biodiversità. (Giuseppe Guida, Repubblica, 29 marzo 2008, Napoli, p. I).
Composto dal s. f. città e dal p. pass. e agg. diffuso, ricalcando l’espressione ingl. sprawltown.
Già attestato nel Corriere della sera del 28 febbraio 1992, p. 41, Lombardia (Franca Gerosa).
V. anche sprawltown.