coattume
s. m. (iron. spreg.) L’insieme dei coatti; il loro modo di comportarsi. ◆ C’è il passeggero che odia i cani, fondatore di un club per lo sterminio di Fido, e c’è il professore di inventistica cinese, l’untuoso venditore di chincaglieria, la moglie in transito per scappatella e il coattume della tifoseria becera. (Silvia Francia, Stampa, 9 gennaio 2000, p. 45, Spettacoli) • Più ci penso, meno trovo un che di positivo legato allo sputo se non l’ironia di Massimo Gramellini, il quale, rievocando la «massima del coattume capitolino», sunto dei comportamenti dei cafoni doc («Nun te sputo in faccia, sennò te profumerei»), ha aggiunto «Invece [Francesco] Totti ha sputato. Segno che un vero supercafone non è». (Vittorio Ravà, Libero, 11 luglio 2004, p. 11, Italia) • Un retrogusto di coattume, di rozzezza; è questo il marchio da cui la nuova Val Melaina cerca di liberarsi, coi centri culturali, coi lavori della metropolitana che arriverà a piazzale Ionio, coi megastore di via Monte Cervialto. L’obiettivo è quello di diventare una zona normale, indistinguibile nel grande palinsesto che è ormai la periferia romana; (Walter Siti, Repubblica, 7 febbraio 2007, Roma, p. IX).
Derivato dal s. m. coatto con l’aggiunta del suffisso -ume.
Già attestato nella Repubblica dell’8 febbraio 1997, p. 12, Spettacoli Roma (Rodolfo Di Giammarco).