comparazione
comparazióne s. f. [dal lat. comparatio -onis, der. di comparare: v. comparare]. – 1. Paragone, confronto: c. di due sistemi; senza c., senza confronto, senza pari: uomo di legnaggio nobile e ricco senza c. (Boccaccio); ant., a c., in c. di, in confronto di, rispetto a: parendo a loro di avere poca gente, a c. de’ Fiorentini (G. Villani). 2. Con accezioni specifiche: a. In statistica, operazione mediante la quale si pongono a confronto più dati o più esperienze statistiche, soprattutto come strumento empirico di analisi dei fenomeni. b. In diritto, scrittura di c., quella che, nella verificazione della scrittura privata, è utilizzata per accertare la veridicità della scrittura disconosciuta. c. In grammatica, la capacità di confronto che possiede l’aggettivo (e analogamente l’avverbio), e che trova espressione in mezzi morfologici e sintattici, rappresentati dai due gradi di comparazione, il comparativo e il superlativo (v. oltre). d. In retorica, figura con la quale si definisce più efficacemente un oggetto paragonandolo a un altro di cui si riveli superiore o inferiore, distinguendosi perciò dalla similitudine, che mira allo stesso effetto stabilendo un rapporto di uguaglianza (un esempio di comparazione sarebbe quindi: è più ignorante di un asino; di similitudine: è ignorante come un asino). Spesso però comparazione e similitudine si identificano, per distinguersi invece dalla metafora, intesa come una similitudine in cui sia soppressa la mediazione del come o di altro elemento equivalente (è un asino; è un vero asino). ◆ Dim. comparazioncèlla, comparazioncina.
Grammatica. – Il confronto, o comparazione, dell’agg. e dell’avv. parte da una forma normale, detta latinamente «positiva» (per es. bello), alla quale si oppone quella comparativa prima e superlativa poi. Il comparativo (o grado comparativo) può essere di uguaglianza (tanto bello quanto ..., oppure così bello come ...), di maggioranza (più bello di ...), di minoranza (meno bello di ...), ed è espresso di regola in ital. con una costruzione sintattica (mentre in lat. il comparativo di maggioranza si esprimeva morfologicamente per mezzo di un suffisso: pulcher «bello», pulchrior «più bello»). Il superlativo si distingue in assoluto e relativo, secondo che indichi una qualità posseduta in grado massimo senza confronti (bellissimo), o relativamente ad altri termini di paragone (il più bello). Il primo si esprime per mezzo di un suffisso, che è di regola -ìssimo (per pochi agg. -èrrimo: celeberrimo, acerrimo, saluberrimo, ecc., e per alcuni -entìssimo: benevolentissimo, beneficentissimo, ecc.); il secondo ha formazione analitica. In latino esisteva un’unica forma suffissale per tutti e due. Comparazione irregolare hanno, come in latino, gli agg. buono (migliore - ottimo), cattivo (peggiore - pessimo), grande (maggiore - massimo), piccolo (minore - minimo), alto (superiore - supremo o sommo), basso (inferiore - infimo) e qualche altro, accanto però alle forme regolari più buono - buonissimo, ecc. Si hanno inoltre comparativi e superlativi isolati: anteriore, posteriore, primo, ultimo, ecc. Il superlativo assoluto si può anche ottenere rafforzando l’aggettivo con avverbî di quantità (molto bello, assai bello), con prefissi (stufo - arcistufo, carico - stracarico), con raddoppiamento (alto alto, zitto zitto), o con l’aggiunta di altri aggettivi (pieno zeppo, stanco morto, bagnato fradicio, ecc.). Nella comparazione di maggioranza e di minoranza, il secondo termine di paragone è introdotto dalla prep. di, più raramente dalla cong. che, se segue un nome («il piombo è più pesante del ferro»; «i fatti sono più efficaci che le parole»; sempre di davanti a pronome: «sono più alto di te»); dalla cong. che negli altri casi («è meglio tentare che dichiararsi vinti»; «lo spettacolo era più istruttivo che divertente»). Non hanno capacità di confronto gli aggettivi che esprimono qualità assolute, quelli cioè che indicano appartenenza a luogo, tempo, materia (come europeo, estivo, bronzeo e sim.) o forma geometrica (triangolare, sferico, ecc.), benché si usino nelle forme comparative in frasi espressive («più napoletano di lui non c’è nessuno»). Al contrario, si hanno talvolta comparativi e superlativi di sostantivi (più artista, meno poeta, padronissimo, generalissimo, partitissima), anche come costituenti di locuz. avverbiali (d’accordissimo, a postissimo). Tra gli avverbî, hanno la comparazione quelli di maniera (bene, male, velocemente, ecc.) e alcuni fra quelli di tempo (presto, tardi ...), di luogo (vicino, lontano ...) e di quantità (molto, poco, tanto). Interessa non la morfologia ma la sintassi e la stilistica il cosiddetto comparativo assoluto, nel quale cioè alla forma del comparativo, per lo più di maggioranza, non segue, perché intenzionalmente taciuto, il secondo termine di confronto; è uno stilema che, per la sua efficacia, è molto sfruttato nella pubblicità («il detersivo X lava più bianco e costa meno»).