comune1
comune1 (ant. commune) agg. e s. m. [lat. commūnis «comune; mediocre; affabile», comp. di con- e munus «carica, ufficio», propr. «che compie il medesimo ufficio»]. – 1. a. Che appartiene o si riferisce a tutti o ai più (contr. di privato, proprio, individuale e sim.): l’interesse c.; doveri c. a tutti i cittadini; il rispetto dei c. diritti; lottare per la salvezza c.; agire per il bene c.; è un difetto c.; per c. consenso. In partic., nome c., che serve a indicare tutti gli individui o gli oggetti della stessa specie, contrapposto al nome proprio (con altro senso, il nome volgare di specie di animali o di piante, contrapp. al nome latino scientifico). Per luogo c., nei sign. filosofico e usuale, v. luogo (n. 6 b). b. Diritto c., complesso di norme che hanno valore generale e che, in quanto tali, si contrappongono ad altre norme limitate a un dato territorio (diritto locale o particolare), a dati destinatarî (diritto individuale), a dati rapporti (diritto speciale o eccezionale). In partic., il diritto romano giustinianeo che, studiato nei suoi testi genuini e posto a fondamento della scienza giuridica per opera della scuola di Bologna, fu considerato come diritto vigente e generale in Italia e in gran parte d’Europa, fino all’entrata in vigore delle codificazioni moderne. c. Che è accettato, usato, seguito dai più: opinione c.; parola poco c.; nel significato più c. del vocabolo; il procedimento, il metodo più comune. In partic., senso c., modo d’intendere e di giudicare della maggior parte degli uomini: principio che ripugna al senso c.; più spesso, ragionamento, discorso che non ha senso c., privo di senso c., mancante di logicità, stolido. d. Che appartiene a un determinato gruppo di persone, più o meno esteso ma per lo più ben definito anche giuridicamente (e che costituisce pertanto una «comunità»), soprattutto con riferimento al godimento e all’uso di beni, all’esercizio di diritti e doveri: i beni, le proprietà c. (per es., in un municipio, in una comunità rurale o montana); terre c., i beni pubblici costituiti da foreste e pascoli che nel medioevo erano assegnati (con i nomi di communia o comunalia, vicinalia o viganalia) ai municipî o a centri rurali minori o a gruppi di proprietarî rurali di un vico; parti c., in un condominio, quelle che sono proprietà di tutti i condomini (ingresso, scale, tetto, ecc.). e. Con sign. ancor più ristretto, che appartiene o si riferisce contemporaneamente a un numero limitato di persone o di cose, o anche a due sole: mal c. mezzo gaudio (prov.); agire di c. accordo; interessi c. a più popoli; caratteri c. agli uomini e agli animali; un c. amico; muro c., quello che chiude due possessi contigui o quello che divide due edifici, due locali; due triangoli che hanno un lato c.; fare causa c. con qualcuno, unirsi a lui in un’impresa, prender parte alle sue vicende dividendo i rischi e i vantaggi. Con valore neutro nelle locuz. avere, esserci di comune, con riferimento a cose che abbiano rapporto di dipendenza o somiglianza: che cosa hanno di c. (o che cosa c’è di c. tra) questi due fatti? In grammatica, sostantivi di genere c., quei sostantivi (come custode, parente, artista) che hanno un’unica terminazione per il maschile e per il femminile. 2. estens. a. Che non esce dall’ordinario o dal normale, non distinto, non scelto, quindi abituale, consueto e sim.: persona di statura c.; un uomo c., gente c.; mobili, suppellettili c.; mangiare in piatti c.; attendere alle c. faccende; anno c., non bisestile; vino c., da pasto e di tutti i giorni (contrapp. ai vini scelti, imbottigliati, spec. se di annata e di riserva); sale c., grosso, per usi di cucina. Al contr., non comune, che esce dall’ordinario, quindi notevole, eccezionale: un ingegno, un’intelligenza non c.; avere doti non c.; possedere una forza non comune. b. Reato c., espressione che non ha un preciso sign. ed è usata in diverse accezioni: talora in contrapp. a reato politico; talora, più di frequente, per indicare il reato che non richiede in colui che lo commette una particolare qualità personale (per es. furto), in contrapp. a reato speciale, che tale qualità, invece, richiede (per es. frode in commercio); talora, infine, per indicare il reato previsto dal codice penale in contrapp. a quello previsto dalle leggi speciali. c. Mediocre, volgare, banale: discorsi c.; un’intelligenza c.; non di legnaggio gentile, ma di meno che comune (M. Villani). d. Con uso sostantivato, nella marina da guerra italiana, comune di seconda classe, il militare non graduato di ogni categoria (corrispondente al soldato dell’esercito); c. di prima classe o scelto, il militare con più di un anno di servizio (corrispondente al caporal maggiore dell’esercito). e. Da un analogo uso sostantivato ha tratto nome, nella storia inglese, la Camera dei Comuni (ingl. Commons), così chiamata perché costituita da coloro che non hanno accesso alla Camera dei Lords. f. Con funzione di sost. neutro, nella liturgia cattolica, c. dei santi (spesso enunciato nella forma latina commune Sanctorum), la serie dei formularî, completi di antifone, orazioni e letture, da recitare nella messa e nella liturgia delle ore nei giorni della celebrazione di santi e di sante che sono privi di formularî speciali. Con questo sign., si distingue sia dal proprio (v. proprio, n. 2 b) sia dall’ordinario, che è lo schema generale di tutte le messe (v. ordinario, n. 2). 3. ant. a. Affabile, alla mano: da allora innanzi diventò più c., e mangiava e beveva di ciò che posto gli ha innanzi (Cavalca). b. Imparziale: questi due frati per lo popolo di Firenze furono fatti venire, ... credendo che per l’onestà dell’abito fossono comuni (G. Villani). 4. Come s. m., con valore collettivo, la maggior parte, i più: il c. degli uomini, il c. dei lettori (anche, ant., la c. degli uomini, ecc.); o la comunità: noi siamo i servitori del c. (Manzoni). Con valore neutro, ciò che è comune, in particolari locuzioni: levarsi, uscire dal c., dalla mediocrità; fuori del c., di cosa che esce dall’ordinario, dalla consuetudine, e quindi straordinaria, eccezionale: un ingegno fuori del c.; resistenza fisica fuori del c.; anche di persona, con riferimento alle sue qualità e doti, fisiche o intellettuali: un uomo fuori del comune. Di largo uso la locuz. avv. in comune, insieme con altri: vivere, prendere i pasti in c.; preghiera, lavoro, studio in c.; acquistare, possedere un terreno in c.; mettere in c. i beni, la proprietà; avere qualcosa in c., esserci in c., anche alludendo ad affinità di caratteri, di sentimenti, di opinioni: fra me e te ci sono molte cose in c.; non ho nulla in c. con lui, non ho niente a che fare con lui. 5. Con uso sostantivato al femm.: a. In scenotecnica, la c. (sottint. porta), la porta che si presume aprirsi verso le scale o l’ingresso, spesso situata al centro della scena: esce per la comune (la parola ebbe diffusione soprattutto nel teatro borghese italiano dell’Ottocento e Novecento, il quale era ambientato quasi esclusivamente in interni con almeno tre porte, due di passaggio con altri ambienti e una di accesso dall’esterno cioè di entrata comune a tutti gli attori); in senso fig., uscire per la c., o dalla c., togliersi di mezzo. b. Andare per la c. (sottint. via), fare ciò che fanno gli altri. ◆ Avv. comuneménte, con varî sign.: a) Generalmente, di solito, secondo i più: come comunemente si dice, si crede, s’interpreta; tesi comunemente accettata. b) Genericamente, in genere: comunemente parlando. c) ant. Insieme, in comune: ogni spesa pagare comunemente (G. Villani); tutti comunemente si disperavano della sua salute (Boccaccio).