cosa
còsa s. f. [lat. causa «causa», che ha sostituito il lat. class. res]. – 1. È il nome più indeterminato e più comprensivo della lingua italiana, col quale si indica, in modo generico, tutto quanto esiste, nella realtà o nell’immaginazione, di concreto o di astratto, di materiale o d’ideale: tutte le c. che esistono nel mondo; la luce rapida Piove di cosa in cosa (Manzoni); le c. corporee, incorporee, visibili, invisibili, temporali, eterne, ecc. Raram. si adopera per esseri animati, tranne che in espressioni come esser cosa, esser tutto cosa di qualcuno, essergli assai legato, e in qualche altro caso: la donna mia ... par che sia una c. venuta Di cielo in terra a miracol mostrare (Dante); entratovi al servizio del padre, il quale era stato tutt’un’altra c. (Manzoni). Talora indica un oggetto determinato, di cui non si sa, non si può o non si vuol dire il nome: che è quella c. lì nell’angolo?; se stai buono ti regalerò una bella cosa (frequente, nell’uso fam., anche con riferimento a persona di sesso femminile [cfr. coso]: ho incontrato stamane la ... cosa ... lì, come si chiama?). Contrapposto a nome, parola, apparenza e sim., indica l’oggetto nella sua essenza, nella sua sostanza: prima furon le c. e poi i nomi (Galilei); nel tuo discorso ci son troppe parole e poche c.; badare più all’apparenza che alle c. in sé. Come termine della filosofia, cosa, pur nella sua indeterminatezza, indica l’essere singolo concreto, l’oggetto naturale o corporeo percepito attraverso l’esperienza sensibile, per cui il mondo delle cose è spesso contrapposto all’uomo come personalità spirituale o coscienza; in senso più generale, qualsiasi oggetto del pensiero o del giudizio, sia esso reale o fittizio, fisico o mentale, concreto o astratto, sensibile o soprasensibile: significati questi che assumono accezioni più particolari presso singoli filosofi o dottrine filosofiche. La cosa in sé, espressione che nella dottrina kantiana designa la realtà in assoluto, al di là di qualsiasi esperienza possibile, in opposizione alla realtà fenomenica còlta nelle forme dell’intuizione spaziale e temporale e delle categorie. 2. Con sign. più determinato, può indicare: a. Oggetti: riordinare, mettere a posto le proprie c., avere cura delle proprie c.; c. sacre, gli oggetti che servono direttamente all’esercizio del culto (altari, immagini e suppellettili sacre, ecc.); masserizie: ha preso tutte le sue c. ed è andato ad abitare da solo; quanto serve per i bisogni della vita: troppe c. ci mancano!; beni, averi, proprietà: siamo riusciti a mettere da parte qualche c.; cibi: deve mangiare c. molto sostanziose; sono stufo di mangiare tutti i giorni le stesse c.; vorrei qualche c. da mettere sotto i denti; ecc. In quanto venga in considerazione come possibile oggetto di diritto, equivale a bene in senso giuridico, ma con senso più oggettivo (per cosa s’intende cioè, in genere, una entità giuridicamente rilevante, considerata in sé, staccata e indipendente da un soggetto; bene si riferisce invece a un soggetto, in quanto richiama l’idea d’interesse, di vantaggio, di utilità). b. Quanto accade: succedono c. che fanno rizzare i capelli; la c. è andata così; è una c. da nulla; sono c. che passano; stando così le cose ...; allora la c. cambia aspetto; pare che sia una c. seria; il bello della c. è questo ...; cose dell’altro mondo, cose da pazzi, strane, incredibili; cose che càpitano ai vivi, le disgrazie, le contrarietà, le disavventure; in due mesi, può nascer di gran cose (Manzoni); da cosa nasce cosa, prov. con cui si esprime il naturale succedersi degli avvenimenti, la consequenzialità di uno dall’altro. c. Ciò che si fa, azione: fare una c. per volta; sono queste c. da farsi?; arrivare a c. fatte, quando tutto è finito; possono pensare Che noi si faccia c. poco belle (Gozzano); c. fatta capo ha, frase proverbiale (v. la voce a suo luogo); han voluto fare le c. in grande, di festeggiamenti e sim. d. Al plur., le faccende della vita privata, gli affari pubblici, gli avvenimenti politici: pare che le c. si mettano male; le c. gli vanno a gonfie vele; badare alle c. di casa; interessarsi alle c. nazionali ed estere; come vanno le c. al confine?; cose di Stato, d’ufficio, di scuola, di religione, ecc. e. Opera o parte di un’opera: ci ha letto le c. più belle di D’Annunzio. f. Quanto si dice o si ascolta: ho sentito in questa conferenza c. molto interessanti; dire una c. per l’altra; a me viene a raccontarle queste c.?; sono c. che non ti riguardano. g. Ciò che si vede: nel mio viaggio ho ammirato c. bellissime; Nel ciel ... vidi cose che ridire Né sa né può chi di là sù discende (Dante). h. Quanto è oggetto del pensiero, della conoscenza: sa pochissime c. e male; avere il pensiero fisso a una c.; non è c. facile a intendersi. 3. Con senso prossimo a causa, motivo: esporsi a rischi per cose che non ne valgon la pena; arrabbiarsi per cose da nulla; o uso, utilità, scopo e sim.: buono, abile a qualche c.; conservalo, potrà servire a qualche cosa. 4. Unito a un agg., prende il significato del nome astratto corrispondente o assume sign. particolari: c. nuova, novità; sarebbe certo una bella c., un piacere, una soddisfazione; una c. giusta, né poco né troppo; gran brutta c. nascer poveri!; c. grosse, fatti importanti, di grande interesse, e anche guai serî, dissapori: ho da raccontarti c. grosse; pare che ci siano c. grosse, nell’amministrazione; ci sono state c. grosse fra loro; in diritto, c. giudicata (v. giudicato1). Più spesso, spec. unito ad agg. indefiniti, acquista valore di neutro: questa c., questo; è poca c., è poco; non è gran c., non è molto; è la stessa c., è lo stesso, non c’è differenza; ogni c., tutto, e così qualche c. (v. anche qualcosa), qualsiasi c., qualunque c., ecc. Con valore neutro è usato spesso anche in funzione prolettica: dimmi una c.: dove sei stato finora?; fate una c.: andate voi direttamente da lui. 5. Preceduto da la quale, funge da neutro del pron. relativo, riferito di solito a quanto è stato detto precedentemente: hai voluto fare di testa tua, la qual c. m’è dispiaciuta (con questo medesimo uso anche: cosa che mi è dispiaciuta; ma più comunem. si dice: e ciò mi è dispiaciuto); così per la qual cosa, perciò. 6. Pronome interrogativo, solo al sing. Unito a che, in frasi interrogative dirette e indirette e in frasi esclamative, col senso del semplice che: che c. desideri?; non capisco che c. pretendi; ma guarda che c. mi doveva capitare!; non sai che c. sia la miseria. Altrettanto diffuso anche il solo cosa: cosa vuoi da me?; non so cosa pensare; che allegria c’è? cos’hanno di bello, tutti costoro? (Manzoni). Ripetuto, esprime stupore per quanto ci vien detto: cosa cosa? la colpa sarebbe mia? 7. Locuz. particolari: per prima c., innanzi tutto; sopra ogni c., più di tutto; fra l’altre c., oltre al resto; diventare qualche c., salire in fama; contare qualche c., avere importanza; credersi qualche c., attribuirsi importanza; avere qualche c. per la testa, avere preoccupazioni, o, con altro senso, avere un’idea, un progetto in formazione; la c. pubblica, lo stato, il governo (calco del lat. res publica); letter., la somma delle c., la suprema autorità, il potere politico (calco del lat. summa rerum). Ricorre inoltre in formule d’augurio, in complimenti: buone c.!; tante belle cose! Come nome proprio è largamente nota la denominazione di Cosa nostra, assunta da una associazione di famiglie mafiose, sviluppatasi prevalentemente nella Sicilia occidentale, collegate strettamente tra loro e regolate da un proprio organo di coordinamento, la cosiddetta Cupola. ◆ Dim. cosina, cosétta, cosettina, coserèlla o cosarèlla, coserellina; spreg. cosùccia, cosettùccia; pegg. cosàccia.