covare
v. tr. e intr. [lat. cŭbare «star coricato, giacere»] (io cóvo, ecc.). – 1. Tenere sotto di sé le uova per comunicar loro il calore necessario allo sviluppo dell’embrione e alla nascita dei piccoli, detto degli uccelli e di alcuni altri animali ovipari; anche assol.: la chioccia ha cominciato a c.; la rondine stava covando; estens., c. i pulcini, della chioccia che li tiene coperti sotto le ali quando sono ancora implumi. 2. fig. a. C. le lenzuola, poltrire a letto; c. la cenere, di persona freddolosa o oziosa che se ne sta pigramente presso il fuoco; usato assol., star fermo, acquattato per indolenza: non star lì a c.!; molto com. il detto prov. gatta ci cova!, c’è sotto qualche mistero o qualche imbroglio. b. Custodire con cura e gelosamente: mamme che covano troppo i loro figli; covando tutto ’l dì i sacchetti di que’ suoi denari (Firenzuola); c. con gli occhi una persona, guardarla fissamente, amorosamente; c. con gli occhi una cosa, guardarla con vivo desiderio, con cupidigia. c. C. una malattia, averla in sé nascosta, averla in germe; c. una segreta speranza, nutrirla dentro di sé; c. un proposito, un disegno, un tradimento, c. tristi pensieri, tenerli chiusi in mente pensando al modo di dar loro esecuzione; c. un sentimento, nutrirlo celatamente nell’animo: c. odio, rancore, risentimento, c. un’insana passione; per l’odio covato sotto sotto dalle zitellone verso la ragazza felice (Palazzeschi). 3. intr. (aus. avere), fig. Svilupparsi o essere attivo di nascosto, copertamente: da tempo la malattia covava in lei; nel suo animo covava un acre desiderio di vendetta; rancori che covano a lungo prima di manifestarsi; c. sotto la cenere, del fuoco che si mantiene a lungo senza divampare (e per traslato, di passione che continua a turbare l’animo pur sembrando estinta).