cozzare
v. intr. e tr. [prob. der. del lat. *cocia (variante volg. di cochlea «chiocciola») nel sign. di «testa»; cfr. coccia] (io còzzo, ecc.). – 1. intr. (aus. avere) a. Battere, urtare con le corna, detto di montoni, caproni e sim., e per lo più con sign. reciproco: come due becchi Cozzaro insieme, tanta ira li vinse (Dante). Per estens., urtare fortemente, con violenza: al buio ho cozzato violentemente contro lo spigolo dell’uscio; l’auto ha sbandato e ha cozzato contro il paracarro; Vedea per l’ampia oscurità scintille Balenar d’elmi e di cozzanti brandi (Foscolo). b. fig. Mettersi in aperto contrasto, entrare in lite con qualcuno: mi fa pur ridere quel caro signor cardinale, a voler c. con un conte duca (Manzoni); è vano voler c. contro il fato; c. col muro, contro il muro, combattere contro difficoltà insormontabili. Di cose, essere in contraddizione, essere inconciliabile: le nostre opinioni cozzano fra loro; la tua affermazione cozza contro il buon senso. 2. tr. Battere, urtare violentemente, nel sign. proprio e in quello estens.: il montone ha cozzato il figlio del contadino; c. la testa nel muro. Più com. nel rifl. recipr., urtarsi con le corna, di animali, o scontrarsi violentemente, di persone, veicoli e sim.; e in senso fig., contrastare, litigare: Agrippina e Domizia si cozzavano fieramente (B. Davanzati).