crusca
s. f. [dal germ. *krūska]. – 1. a. Residuo della macinazione dei cereali (detto anche semola, sinon., questo, divenuto ormai prevalentemente region., e oggi usato con sign. specifico per indicare la farina di grano duro), costituito da scagliette, larghe e ben distinte, provenienti dagli strati esterni delle cariossidi; è usata per l’alimentazione degli animali che, al contrario dell’uomo, sono in grado di digerirla e di utilizzare le sostanze nutritive in essa contenute: separare il fior di farina dalla c.; pane di c., focaccine di c.; prov., la farina del diavolo va tutta in c., le cattive azioni non recano alcun vantaggio, il denaro mal guadagnato non fa pro, e sim.; vendere c. per farina, fig., spacciare il cattivo per buono. b. Il pastone preparato con acqua e crusca per gli animali: fare la c.; dare la c. ai polli, ai maiali. 2. fig., fam. Lentiggini, o efelidi, del viso. 3. Accademia della Crusca: accademia sorta a Firenze nel 1583 con lo scopo principale di vigilare sul buon uso della lingua italiana; il nome, tratto originariamente dalla definizione di crusconi assunta dai suoi primi soci (quasi a dire, per burlesca modestia, «gente degna di crusca e non di farina»), e dall’uso di chiamare cruscate le loro adunanze fu poi interpretato come proposito di separare, nella lingua, la farina, cioè la lingua più pura, dalla crusca, cioè l’elemento meno valido. Anche ellitticamente Crusca, per indicare sia l’Accademia sia le varie impressioni del Vocabolario che ne fu l’opera maggiore, soprattutto in locuz. come: vocabolo di C., registrato nel Vocabolario; autore di C., citato nel Vocabolario; parlare in C., con estrema e affettata proprietà di linguaggio. Dell’autorità dell’Accademia, e delle polemiche che ne accompagnarono la vita, rimane traccia in varî derivati, quali cruscaio, cruscante, cruscheggiare, cruschevole.