culo
s. m. [lat. cūlus], pop. – 1. La parte posteriore e più carnosa del corpo umano (ma riferito talora anche ad animali), comunem. indicata con termini eufemistici o più dotti o comunque meno crudi, come sedere, didietro, deretano. Il termine è di uso com. in espressioni fig., più o meno volg.: che c.!, che fortuna!; colpo, botta di c., colpo di fortuna; battere il c. in terra, fallire; avere il c. di piombo, essere pigri, senza voglia di muoversi; c. di pietra, persona che sta sempre seduta a lavorare; avere una faccia di c. (o da), di persona sfacciata, sfrontata, senza ritegno; essere c. e camicia, di due persone che vanno perfettamente d’accordo, che si spalleggiano e si fanno reciproci favori; leccare il c. a qualcuno, comportarsi in modo servile nei suoi confronti, per ottenere favori, ricompense; dare un calcio nel c. a qualcuno, licenziarlo, cacciarlo via in modo brusco, improvviso; farsi il c., un c. così , affaticarsi, stancarsi moltissimo per portare a termine un lavoro; prendere, pigliare per il c., prendere in giro, imbrogliare. 2. a. Fondo, base su cui posano bottiglie, bicchieri, recipienti e sim.: il c. del fiasco; scherz. c. di bicchiere, brillante falso. b. Cul di sacco, adattamento del fr. cul-de-sac (v.). 3. volg. Ano: Ed elli avea del cul fatto trombetta (Dante). In espressioni com., con uso fig.: fare il c. a qualcuno, imbrogliarlo; dare via il c. per ottenere qualcosa, essere disposto a tutto pur di raggiungere i proprî fini; prenderlo in c., nel c., essere imbrogliato, fregato; mandare uno a fare in c. (o a prenderlo nel c. o a dar via il c.), mandarlo al diavolo, a quel paese. Come augurio, per antifrasi, a chi affronta una prova difficile o pericolosa: in c. alla balena! ◆ Dim. culétto, culino; accr. culóne; pegg. culàccio.