dannare
v. tr. [lat. damnare, der. di damnum «danno»]. – 1. Condannare: a perpetuo essilio lui e i suoi discendenti dannarono (Boccaccio); Né mi diceva il cor che l’età verde Sarei dannato a consumare in questo Natio borgo selvaggio (Leopardi). Nel linguaggio com. è riferito solo alle pene dell’inferno, e usato spec. nel passivo o nel rifl.: Intesi ch’a così fatto tormento Enno dannati i peccator carnali (Dante); dannarsi, dannare la propria anima, andare all’inferno o essere causa, per le proprie colpe, dell’eterna condanna. Fig.: far d. o far d. l’anima, affaticare, affannare, far disperare: mi fa d. con la sua testardaggine; i ragazzi sono così vivaci che mi fanno d. per tenerli a freno; nel rifl., affannarsi, tormentarsi, amareggiarsi la vita: mi danno dalla mattina alla sera con tante cose a cui pensare; mi sono dannato tutto il giorno con quel problema; dannarsi per (o a) trovare un lavoro; col sign. di fare il massimo sforzo, fare tutti gli sforzi possibili, anche dannarsi l’anima: si è dannato l’anima per rimontare lo svantaggio (e in senso proprio, ma in tono enfatico e iperbolico: si dannerebbe l’anima, pur di ottenere quella carica). 2. ant. Cancellare, annullare (un conto, una partita di debito): dannerai la mia ragione (Boccaccio), cancellerai il mio conto; Disse il tesoriere: «Messere, errava»; e volle d. il sopra più (Novellino). ◆ Part. pass. dannato, anche come agg. e sost. (v. la voce).