decasillabo
decasìllabo agg. e s. m. [dal lat. tardo decasyllăbus, gr. δεκασύλλαβος, comp. di δέκα «dieci» e συλλαβή «sillaba»]. – Verso composto di dieci sillabe (o, più propriam., di dieci «posizioni metriche»: v. endecasillabo); nella metrica classica, d. alcaico, il quarto verso della strofe alcaica, di schema –́⌣⌣–́⌣⌣–́⌣–́⌣̲ (che nella metrica barbara di Carducci e Pascoli è reso con un quinario sdrucciolo più un quaternario piano); nella poesia italiana, verso di 10 sillabe con accenti ritmici normalmente sulla 3a, 6a e 9a, cioè a ritmo anapestico, noto soprattutto per gli esempî del Manzoni (Soffermàti sull’àrida spónda) e del Berchet (L’han giuràto. Gli ho vìsti in Pontìda), o con accenti fissi sulla 4a e 9a sillaba, e un altro accento, non obbligatorio, sulla 6a o 7a (come in questa quartina del Pascoli: Udii tra il sónno le ciaramèlle, / ho udito un suòno di nìnne nànne. / Ci sono in cièlo tùtte le stélle, / ci sono i lùmi nelle capànne); più rari i decasillabi con ritmo diverso.