derivazione1
derivazióne1 s. f. [dal lat. derivatio -onis, der. di derivare «derivare1»]. – 1. L’atto, l’operazione, il fatto di derivare o di essere derivato, e il modo o il processo attraverso cui si deriva (nel sign. trans. e intr. di derivare1): d. d’acqua da un canale; anche in senso concr., canaletto, fossato, tubazione per cui si fa passare l’acqua: si è provveduto all’irrigazione dei campi con alcune derivazioni. E con riferimento alle accezioni fig. del verbo: d. logica di una verità da un’altra; il suo comportamento è una d. diretta dei principî da lui professati; la d. di un corollario da un teorema, da una dimostrazione; nella critica artistica o letteraria, la formazione di stili o modi stilistici, di motivi iconografici e sim. da esempî preesistenti: uno schema di d. giottesca. 2. Con accezioni specifiche: a. In elettrotecnica, connessione di un circuito con un altro fatta con opportuni dispositivi, in modo che parte della corrente inizialmente fluente in quest’ultimo scorra nel primo; anche, il circuito stesso. Nella tecnica telefonica, linea (o altra apparecchiatura) non direttamente collegata a una centrale ma che, mediante opportuno dispositivo, può essere commutata su una linea cosiddetta principale, cioè in collegamento diretto con la centrale. Con riferimento a componenti circuitali (resistori, condensatori, ecc.), collegamento in d., sinon. di collegamento in parallelo. b. In elettrofisiologia, la dislocazione, sul corpo del soggetto da esaminare, degli elettrodi impiegati per la registrazione dei potenziali di azione. c. In matematica, operazione mediante la quale si determina la derivata di una funzione; regole di d., quelle che permettono di calcolare la derivata di una funzione, costruita mediante altre, non appena si conoscano le derivate di queste ultime. d. In statistica, rapporto di d., il rapporto tra la frequenza o intensità di un fenomeno e quella di un altro fenomeno che sia presupposto necessario del primo: per es., il rapporto fra le nascite e la popolazione (quoziente di natalità), o tra il numero dei morti e la popolazione (quoziente di mortalità). 3. In linguistica, processo mediante il quale si crea una forma (tema o parola) da una radice o da una parola preesistente, sia della stessa sia di altra lingua: i modi della d.; la d. del lessico italiano da quello latino. All’interno di una stessa lingua: d. mediante prefisso (per es. diseducare da educare), mediante suffisso (per es. cartiera da carta), mediante prefisso e suffisso (per es. incolonnare da colonna); d. immediata, cioè senza suffisso, soprattutto per la creazione di sostantivi verbali astratti da un verbo (come congiura da congiurare, svago da svagare, ecc.). Nelle lingue moderne, come già nelle antiche, la derivazione è una delle maggiori risorse per l’arricchimento continuo del lessico, ed è operante per la formazione di sostantivi da verbi (spargimento, tessitore, da spargere, tessere), di verbi da sostantivi o aggettivi (annodare, facilitare, da nodo, facile), di sostantivi da aggettivi o da altri sostantivi (sicurezza, drogheria, da sicuro, droga), di aggettivi da sostantivi o da verbi (padronale, notevole, da padrone, notare), di avverbî da aggettivi (abilmente da abile), di verbi, aggettivi, sostantivi da altri di senso contrario (svestire, illogico, disonore, da vestire, logico, onore) e così via. La derivazione va distinta dalla alterazione, la quale, pur attuandosi per mezzo di suffissi (per es. cartaccia da carta), non muta sostanzialmente il sign. fondamentale del vocabolo originario.