detto
détto agg. e s. m. [lat. dĭctus, dĭctum]. – 1. In funzione di participio, oltre agli usi di dire, sono da notare le frasi: è presto d., si fa presto a dire, non è cosa tanto facile come sembra; propriamente d.; così d. (v. cosiddetto); come locuz. avv. detto fatto, subito, immediatamente. 2. Con funzione aggettivale: a. Chiamato, soprannominato: Iacopo Robusti d. il Tintoretto; in una località d. la Montanina. b. Sopraddetto, nominato innanzi: alle d. persone; nel giorno detto. Come vero e proprio agg. si usa nelle didascalie delle opere teatrali per indicare un personaggio che è già in scena e continua ad agire nella scena seguente: Rosaura e detti; Arlecchino, Pantalone e detto. 3. s. m. a. Il dire, ciò che si dice: dal d. al fatto v’è un gran tratto (prov.); stando al suo d., a quanto egli dice. b. letter. Parola: un d. solo e vi uccido; anche come espressione di volontà: erano tutti ubbidienti al suo detto. c. Frase, affermazione, discorso: O non m’è ’l d. tuo ben manifesto? (Dante). d. Motto, sentenza: un antico d.; secondo il d. popolare; d. memorabili; i d. del Piovano Arlotto. 4. s. m. Poemetto, per lo più breve, frequente nei primi secoli delle letterature neolatine, che tratta scherzosamente di argomenti della vita quotidiana, o anche di materie allegoriche e religiose: il «Detto d’amore», poemetto composto a imitazione del Roman de la Rose, attribuito a Dante; il «Detto del Gatto Lupesco», operetta d’ignoto giullare della prima metà del sec. 13°. Fu genere letterario coltivato soprattutto in Francia (col nome di dit).