dialisi
dïàliṡi s. f. [dal gr. διάλυσις «scioglimento, separazione», der. di διαλύω «distinguere»]. – 1. In retorica, specie di iperbato, che consiste nell’interruzione di un periodo mediante un inciso (come, per es., nel passo dantesco, Inf. XXIX, 16-17: Parte sen giva, e io retro li andava, Lo duca ...). Nella retorica classica era chiamato d. (o diàlito) anche un costrutto senza congiunzioni, cioè l’asindeto. 2. In chimica fisica, separazione di soluti in base alla loro velocità di diffusione attraverso membrane semipermeabili; come tale, ha enorme importanza in biologia, perché attraverso di essa avvengono le funzioni di assimilazione, escrezione e secrezione negli organismi vegetali e animali. Con lo stesso termine si indica anche la separazione di colloidi, che non attraversano le dette membrane, dai non colloidi (o cristalloidi) che le attraversano, effettuata con apparecchi dotati appunto di tali membrane e detti dializzatori; industrialmente, si applica nel recupero del rame o di altri metalli da bagni elettrolitici, nella separazione dello zucchero dalle destrine, ecc. 3. Intervento terapeutico che sfrutta il processo chimico-fisico della dialisi per favorire l’eliminazione extrarenale dell’urea nei casi in cui la funzione escretrice del rene sia gravemente compromessa per nefropatie acute o croniche: il sangue viene dializzato ponendolo a contatto, attraverso una membrana semipermeabile, con un opportuno liquido di lavaggio, e ricorrendo a due diverse tecniche: d. intracorporea, se si utilizza come membrana un tessuto vitale (per es., il peritoneo), attraverso il quale si introduce il liquido all’interno dell’organismo da depurare, e d. extracorporea (o emodialisi) se, per mettere il sangue a contatto con il liquido dializzante, esso viene fatto circolare all’esterno dell’organismo, in particolari apparecchi indicati con la denominazione generica di rene artificiale.