diga
s. f. [dall’oland. dijk, attrav. il fr. digue, ant. dique]. – 1. Denominazione usata in passato per indicare gli argini che difendono le terre litoranee dalle acque del mare, e poi anche le opere portuali (moli foranei, frangiflutti, ecc.); oggi designa soprattutto le opere idrauliche di sbarramento permanente (d. fisse) o temporaneo (d. mobili) nel corso di un fiume, aventi lo scopo di modificarne il deflusso. Più in partic., sono dette d. di sbarramento, o di ritenuta, le opere idrauliche, per lo più di notevoli dimensioni, atte a produrre, a differenza delle traverse, un forte innalzamento del pelo libero di un corso d’acqua a monte, onde creare un bacino artificiale (per la regolazione della portata del corso d’acqua, di carico per centrali idroelettriche, per l’irrigazione, ecc.) tale che le acque invadano un territorio più grande di quello occupato in precedenza dall’alveo. A seconda del tipo di costruzione adottato e del modo in cui è ottenuto l’equilibrio statico, si distinguono: dighe in muratura, d. in materiali sciolti, d. a gravità (così dette perché oppongono alla spinta dell’acqua invasata il loro peso), d. ad arco o a volta, d. ad arco-gravità, d. ad archi multipli, ecc. 2. fig. Freno, difesa, argine: opporre, costituire una d. contro la delinquenza, contro il terrorismo; rompere le d., superare ogni freno o ritegno.TAV.