dimenticare (ant. dismenticare) [lat. tardo dementicare, der. di mens mentis "mente"] (io diméntico, tu diméntichi, ecc.). - ■ v. tr. 1. [perdere la memoria di una cosa, anche nella forma dimenticarsi: d. un appuntamento; dimenticarsi un libro; ho dimenticato di telefonarti] ≈ (lett.) obliare, (lett., raro) obliterare, (fam.) scordare, (fam.) scordarsi. ↔ avere a mente, rammentare, ricordare, (lett.) rimembrare. 2. (estens.) [passare sopra a qualche cosa, non darle peso, anche assol.: d. le offese] ≈ archiviare, (fam.) mettere una pietra sopra (a), perdonare. ■ dimenticarsi v. intr. pron. [farsi sfuggire dalla mente di fare qualcosa, con la prep. di: d. dell'appuntamento] ≈ scordarsi. ↔ rammentarsi, ricordarsi, (lett.) sovvenirsi.
dimenticare. Finestra di approfondimento
Non ricordare - Il verbo più com. e fam. per esprimere il concetto di «perdere la memoria di una cosa» è scordare, o, ancora più com., scordarsi (sia trans. sia, meno com., intrans., con la prep. di): il nome de mio patre aggio scordato / e il mio paese, misero! tapino! (M. M. Boiardo); chiamatelo, chiedete se nulla s’è scordato (C. Goldoni); mi sono scordato del compleanno di Maria. Quasi altrettanto com. è d., soprattutto nella forma fam. dimenticarsi (anch’esso sia trans. sia, meno com., intrans., con la prep. di): dirovi una novella ch’avevamo dimenticato dell’isola di Seilan (M. Polo); ripensando a l’ultime ragioni, mi son dimenticato de le prime (T. Tasso). D’uso oggi solo lett. è obliare: i’ era in terra e ’l cor in paradiso, / dolcemente obliando ogni altra cura (F. Petrarca). Rarissimo in quest’accezione è obliterare, anch’esso lett., che letteralm. vale «cancellare»: avevo annotato nell’agenda un impegno, ma avevo avuto cura di posporlo a un mese dopo, in modo da avere il tempo da obliterarne l’origine nella memoria (A. Moravia).
Il contr. più com. è ricordare, anch’esso per lo più impiegato nella forma ricordarsi (sia trans. sia intrans., con la prep. di): ricorditi di me, che son la Pia (Dante); la memoria la più indebolita dimentica l’istante passato, e ricorda le cose della fanciullezza (G. Leopardi). Più ricercati sono rammentare (e rammentarsi di: io triemo tutta, quando io mi rammento / de’ colpi fatti e del vostro potere [L. Pulci]), avere (o tenere) a mente (e altro disse, ma non l’ho a mente [Dante]; per la loro ingratitudine poco tempo il tennero a mente i Pisani [G. Villani]) e il lett. rimembrare: Silvia, rimembri ancora / quel tempo della tua vita mortale, / quando beltà splendea / negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi, / e tu, lieta e pensosa, il limitare / di gioventù salivi? (G. Leopardi). Solo nella forma pron. (con o senza di) è il lett. sovvenirsi: e mi sovvien l’eterno, / e le morte stagioni, e la presente / e viva, e il suon di lei (G. Leopardi).
Non voler ricordare - Talvolta si può dimenticare qualcosa nel senso di non volerci più pensare, quando, per es., si parla di problemi: stasera voglio dimenticarmi dei miei problemi; in questo caso possibili sinon., un po’ più marcati, sono azzerare e cancellare, mentre il contr. è pensare. D. può anche essere usato nel sign. di «non dare peso a qualcosa» (io non porto rancore: ho già dimenticato la tua risposta sgarbata), e ha come sinon. molto com. l’espressione mettere una pietra sopra, usata come invito a far pace, a ricominciare un rapporto dopo un litigio e sim.: tra noi non è mai corso buon sangue: che ne diresti di metterci una pietra sopra e di non pensarci più? I sinon. sono perdonare e il più ricercato archiviare: ha deciso di archiviare tutte le mie colpe. Altre volte d. è un modo eufem. o attenuato per esprimere il concetto di «fingere di ignorare o non menzionare qualcosa colpevolmente, per negligenza, trascuratezza, ingratitudine e altro», ed è dunque sinon. di omettere, tralasciare, trascurare: dimentichi forse tutto quello che ho fatto per te?
A volte si usano d. o scordare come sinon. di disimparare, ovvero «perdere, per mancanza di esercizio, la conoscenza necessaria per fare qualcosa»: è troppo tempo che non guido e temo di avere dimenticato come si fa.
Derivati - Tra i der. di d., il più diffuso è dimenticanza «il dimenticare» e anche «ciò che si è dimenticato», con diversi sinon., secondo le sfumature. Una dimenticanza non molto grave è una disattenzione, una distrazione o una sbadataggine: son delicate tanto, son permalose a segno, / che una disattenzione tosto le muove a sdegno (C. Goldoni); Cortis non ci aveva pensato. Si dolse della sua distrazione, voleva uscire (A. Fogazzaro); non si sprofondava né in un’osservazione, né in un pensiero, né in una sbadataggine a segno di dimenticarsi degli altri (I. Nievo). Più gravi saranno una negligenza, un’omissione o una trascuratezza, che possono indicare anche un vero e proprio errore o addirittura una colpa, una perdita di interesse, di attenzione, di riguardo, per incuria, egoismo e sim.: per negligenza di suo padre egli non sapeva il giorno certo della sua nascita (T. Boccalini); Paolo raccontò quanto sapeva, senz’alcuna omissione (G. D’Annunzio).
Dimenticanza compare anche in talune espressioni poco corrette come cadere (o lasciare o mettere) in dimenticanza; in questi casi è abbastanza com. anche dimenticatoio: io ti domanderò una cosa, ma tu la metterai nel dimenticatoio, e non mi rispondera’ mai (L. Magalotti). L’ital. non ha, curiosamente, nessuna parola di uso com. per indicare il processo del dimenticare. È disponibile oblio, che si usa soltanto al sing., ma è sentito come lett. e quindi usato solo in contesti particolari. Oblio, peraltro, non è un vero e proprio sinon. di dimenticanza, giacché non indica uno stato né ciò che si è dimenticato, bensì un processo: e ’l sonno, ozio de l’alme, oblio de’ mali, / lusingando sopia le cure e i sensi (T. Tasso). I contr. sono memoria e ricordo, il secondo più specifico e com. del primo: i giovani spesso mancano di memoria storica; non ho alcun ricordo dei miei primi cinque anni di vita.