disperare
(ant. desperare) v. tr. e intr. [lat. despērare, comp. di de- e sperare] (io dispèro, ecc.; aus. avere). – 1. Non avere, o non aver più, la speranza di conseguire qualche cosa. Si costruisce di solito con la prep. di o con prop. oggettiva (di e l’infinito o che e il congiuntivo): d. della guarigione, della salvezza; Morta fra l’onde è la ragion e l’arte Tal ch’incomincio a desperar del porto (Petrarca); dispero ormai di riuscire a convincerlo; i medici disperavano di salvarlo; dispero che possa correggersi. Con compl. oggetto (letter.): d. la vittoria, la pace; con quel suono Di cui le Piche misere sentiro Lo colpo tal, che disperar perdono (Dante). Usato assol., perdere ogni speranza, scoraggiarsi, disanimarsi: non disperare, vedrai che tutto andrà bene; anche nelle situazioni più gravi, non si deve mai d.; io disperando allora E sperando traea le notti e i giorni (Leopardi); talora anche con la prep. in (conforme all’uso di sperare): non bisogna mai d. nel futuro, nell’aiuto divino. Far disperare, condurre alla disperazione; spesso iperb., tormentare, irritare, far perdere la pazienza: scolari che fanno d. il maestro; è un lavoro che m’ha fatto d.; questo continuo mal di testa mi fa disperare. 2. intr. pron. Darsi alla disperazione; per lo più con sign. attenuato, lasciarsi prendere dallo sconforto, sentire e anche manifestare, con atti e con parole, dolore, rabbia, impazienza e sim.: si dispera per nulla; si disperava perché non riusciva a trovar lavoro; piangeva e si disperava riconoscendo l’inutilità dei suoi sforzi; non vedendolo tornare, la madre cominciò a disperarsi. ◆ Part. pass. disperato, anche come agg. (v. la voce).