dittongo
dittòngo s. m. [dal lat. tardo diphthongus gr. δίϕϑογγος, comp. di δι- «due» e ϕϑόγγος «suono»] (pl. -ghi). – 1. Gruppo di due vocali che si seguono nella medesima sillaba, e delle quali una è vocale sillabica, mentre l’altra può essere sia vocale vera e propria ma asillabica, sia semiconsonante; si ha d. ascendente se la vocale sillabica è la seconda (come uò in nuora, ui in squittire), d. discendente se la vocale sillabica è la prima (es. ài di laico, ei di seimila). 2. D. mobile: sono così chiamati, in grammatica italiana, i dittonghi ie, uo, svoltisi rispettivam. dal lat. ĕ, ŏ; secondo le regole della grammatica storica, il dittongo mobile sussiste solo se finale di sillaba tonica in voci popolari, mutandosi in e, o in ogni altro caso: quindi, per es., muovo (con uo), ma movevo (con o, atono), mossi (con o, interno di sillaba), moto (voce dotta, con o). In molti casi l’uso prevalente della lingua scritta moderna estende il dittongo anche alla posizione atona: muovevo invece di movevo, suonare invece di sonare, ecc., frequenti oggi anche nella lingua parlata (nella quale si cerca di evitare, invece, la sequenza di due dittonghi, che si avrebbe, per es., in muoviamo o in suoniate). Il dittongo si conserva sempre nella flessione di presiedere, risiedere (presiedeva, risiederò, di fronte a sedeva, sederò), di mietere, e per lo più di nuotare e vuotare (anche per evitare ambiguità con notare e votare). Viceversa, l’uso moderno (scritto e parlato) ha ormai soppresso definitivamente il dittongo, anche in posizione tonica, quando sia preceduto da i, o da consonante palatale, o da un gruppo formato da muta più liquida: mariolo, spagnolo, prova, breve invece di mariuolo, spagnuolo, pruova, brieve.