divano
s. m. [dall’arabo dīwān, voce di origine persiana]. – 1. Come adattamento occidentale della voce araba, il termine indicò in origine il registro del soldo delle milizie arabe e delle pensioni di stato, e poi qualsiasi pubblico ufficio amministrativo; in Africa settentr. e in Spagna, aveva anche il significato particolare di ufficio e magazzino della dogana (parola, questa, che risale anch’essa alla stessa voce araba). In tempi più recenti, è stato usato come sinon. di consiglio, spec. per indicare il consiglio dei ministri nell’Impero ottomano, e anche con il sign. di assemblea e di tribunale supremo (nei principati di Valacchia e Moldavia). 2. Sedile per più persone, imbottito e con cuscini (detto anche canapè o sofà), usato in sale, salotti e altri ambienti di soggiorno. Il nome è dovuto al fatto che questo tipo di sedile costituiva l’unico arredamento del dīwān, come ufficio di dogana; come mobile, entrò a far parte dell’arredamento degli ambienti di rappresentanza delle dimore signorili del sec. 17°, ripetendo, opportunamente ampliate, le forme della poltrona. Un tipo particolare di divano è il divano-letto, realizzato (in varî modelli) in modo da poter essere adoperato anche come letto, talora con vani opportunamente ricavati sotto il piano orizzontale e nella spalliera per riporvi lenzuola, coperte e cuscino. 3. Nelle letterature orientali, raccolta di poesie di uno scrittore di lingua araba. ◆ Dim. divanétto; spreg. divanùccio.TAV.