dolore /do'lore/ s. m. [lat. dolor -ōris, der. di dolēre "sentir dolore"]. - 1. [qualunque sensazione di sofferenza provocata da un male fisico, con le prep. di, in o anche assol.: d. di testa; avere un d. in un fianco; essere pieno di d.] ≈ male, malessere, sofferenza. ↓ dolenzia, indolenzimento. 2. (fig.) a. [il soffrire moralmente] ≈ afflizione, angoscia, dispiacere, patimento, pena, sofferenza, tristezza. ↑ disperazione, strazio, tormento. ↓ amarezza, cruccio, dispiacere. ↔ contentezza, gioia, piacere. b. [in funzione di pred., chi è causa di afflizioni, di sofferenze: quel figlio è stato sempre un gran d. per la sua povera mamma] ≈ cruccio, dispiacere, pensiero, preoccupazione. ↔ aiuto, soddisfazione, sollievo. 3. (teol.) [il pentirsi dei peccati commessi] ≈ contrizione, pentimento, rimorso. [⍈ SOFFRIRE]
dolore. Finestra di approfondimento
Gradi di dolore - Ci sono varie gradazioni di dolore non fisico e dunque molti termini per esprimerlo. Dispiacere indica, solitamente, un sentimento meno forte rispetto a d.: so bene che io ti fo d. a muoverti questo discorso (G. Leopardi). Amarezza e cruccio sono dispiaceri commisti con una sorta di rabbia: si direbbe che nella tua ironia c’è molta amarezza (G. Verga); cruccio di non sentirsi alcuna dolcezza della vittoria morale sulla tentazione (A. Fogazzaro). A‚izione e soprattutto pena e tormento sono dei dolori morali particolarmente intensi: teneva il capo basso, quasi più per vergogna che per a‚izione (L. Pirandello); io non mi ricordo aver passato un giorno solo della mia vita senza qualche pena (G. Leopardi); io accetto tutti i tormenti del carcere, ma deh ch’io ami! deh, liberami dal tormento d’odiare i miei simili! (S. Pellico). Ancora più insostenibile è lo strazio o lo spasimo: la malinconia del Tasso è più profonda, lo strazio non è solo nella sua immaginazione, ma nel suo cuore, e penetra in tutta la vita (F. De Sanctis); quella povera giovine ha molto più bisogno di veder subito una faccia conosciuta, una persona sicura, in quel castello, dopo tant’ore di spasimo, e in una terribile oscurità dell’avvenire (A. Manzoni). Il massimo grado del dolore morale è la disperazione: nell’amore la disperazione mi portava più volte a desiderar vivamente di uccidermi (G. Leopardi).
In senso astratto e generico, il dolore morale può essere detto anche tristezza o, se ancora più profondo, esistenziale e svincolato da circostanze particolari, infelicità e, meno forte, malinconia. Un dolore estremo, manifestato per lo più pubblicamente (soprattutto a seguito di un lutto), è detto formalmente cordoglio: Marta scoprì il volto della defunta già trasfigurato; cadde in ginocchio accanto al letto e sciolse l’enorme cordoglio in uno sgorgo infinito di lagrime (L. Pirandello). Il plur. condoglianze, proprio del registro burocr., è impiegato esclusivamente in casi di lutto e può essere usato sia assol. sia in formule cristallizzate: sentite condoglianze; fare le condoglianze; porgere le più sincere condoglianze. Se il dolore è provocato dal dispiacere di qualcosa che si è fatto, è detto pentimento o rimorso o, più formalmente, compunzione o contrizione (non privi talora di certa ironia su un pentimento più esteriormente ipocrita che sinceramente sentito): sopra ogni dolore d’ogni sventura si può riposare, fuorché sopra il pentimento. Nel pentimento non c’è riposo né pace, e perciò è la maggiore o la più acerba di tutte le disgrazie (G. Leopardi); divorerò nel rimorso e nella solitudine tutti i miei giorni (U. Foscolo); bevono con compunzione lagrime spremute dagli occhi altrui (I. Nievo); sapete che cosa è la contrizione? è l’odio del peccato commesso con la ferma volontà di emendarsi (C. Boito). Se infine il dispiacere è dovuto alle aspettative disattese, si parlerà di delusione: Alfonso provò della delusione al vedere che neppure in quello stesso giorno la gratitudine dei Lanucci fosse stata tanta da indurli ad attenderlo per salutarlo (I. Svevo).
Dolore fisico - Meno variegato è il ventaglio terminologico che esprime sensazioni di dolore fisico: oltre a d., infatti, escludendo i lett. doglia, duolo e pena, il termine meno marcato è male (con gli attenuati malanno e acciacco: ha avuto molti mali; ho male a un ginocchio; la sua salute è complessivamente buona, ha i soliti acciacchi della sua età). Un dolore intenso, improvviso e di brevissima durata è detto fitta: ho delle terribili fitte allo stomaco. Malessere e sofferenza sono generici (il secondo è comunque più forte del primo) e, più che a un dolore particolare, alludono a un cattivo stato complessivo, talora difficilmente spiegabile (spesso si riferiscono a dolori morali, psichici ed è talvolta sfumato il confine tra sofferenza interiore ed esteriore): per la prima volta le avvenne di avvertire un vago malessere, una stanchezza, un’oppressione un po’ alla spalla, un po’ al petto (L. Pirandello); era sfinito dalla sofferenza e dalla stanchezza (F. Tozzi).