eccesso /e'tʃ:ɛs:o/ s. m. [dal lat. excessus -us "l'oltrepassare"]. - 1. a. [l'eccedere, il superare un limite determinato: prendere una multa per e. di velocità] ≈ abuso, dismisura, eccedenza, esagerazione, esorbitanza, sovrabbondanza. ‖ enormità. ↔ carenza, difetto, insufficienza, penuria, scarsezza, scarsità. ↑ mancanza. ‖ esiguità. b. [quantità che supera i limiti stabiliti] ≈ e ↔ [→ ECCEDENZA (2)]. ▲ Locuz. prep.: in eccesso [in quantità eccessiva: merce in e.] ≈ e ↔ [→ ECCEDENTE agg. (1)]; per eccesso [per mezzo di un valore più alto del giusto: approssimazione per e.] ↔ per difetto. 2. a. [assol., massimo grado: spingere una cosa all'e.] ≈ estremo. ▲ Locuz. prep.: all'eccesso ≈ e ↔ [→ ECCESSIVAMENTE]. b. [spec. al plur., comportamento eccessivo, esagerato: lasciarsi andare a degli e.] ≈ abuso, incontinenza, intemperanza, sfrenatezza, smoderatezza, sregolatezza, stravizio. ↓ esuberanza. ↔ misura, moderazione, temperanza.
eccesso. Finestra di approfondimento
Criteri dell’eccesso - Il concetto di «superare un limite determinato» può essere espresso da vari sost., tra i quali e. è il più generico. Se il superamento riguarda essenzialmente valori di quantità, misura e sim., i sinon. disponibili saranno dismisura (quasi sempre usato nella locuz. prep. a dismisura «fino all’eccesso»), o i meno com. esorbitanza o sovrabbondanza: meglio convien credere al corpo che all’anima, meglio alla misura del corpo che alla dismisura dell’anima (G. D’Annunzio); fioccavano i giudizi e le osservazioni sulla Patti, la esorbitanza del suo prezzo di cantante (A. Oriani); ella volle versar fuori tutta la sovrabbondanza del suo fiele (I. Nievo). Tra i contr., insufficienza, scarsezza e scarsità si riferiscono, in modo per lo più oggettivo, alla limitata quantità di qualcosa: sieno le tue parole più corrispondenti alla insufficienza del mio sommesso intelletto (A. Verri); cominciavano a pruovar quel crudel tormento, che tanto flagella gli uomini magnanimi, di misurar la grandezza dell’animo e l’operar azioni gloriose con la vergognosa scarsezza del denaro (T. Boccalini). Penuria è più formale: e se mi cal d’amanti, ce n’è penuria al mondo? (C. Goldoni). Il più marcato mancanza indica l’assenza di qualcosa: peccato atto non è: vien dal niente; / mancanza o abuso è di bontà sincera (T. Campanella). Mentre difetto e carenza sottolineano, rispettivamente, l’omissione colpevole o l’esigenza di qualcosa: la sua ritrosia è dovuta alla carenza di affetto; è un difetto grave negli uomini di pretendere le uguali opinioni da un grado diverso di cultura (I. Nievo).
Tipi di eccesso - È curioso notare come, in base all’accezione morale dei termini, i contr. e. e difetto possano talora essere in rapporto sinonimico, giacché designano il primo un superamento dei limiti della morale e il secondo una scarsità di autocontrollo o di virtù per rimanere entro quei limiti: il primato del peso era stato tenuto per un pezzo dal capitano X con novantatré chili, ma ora c’era il tenente Y che ne pesava novantacinque. Peccato, il tenente non aveva altro difetto che quest’e. (A. Fogazzaro); non ha saputo a volta a volta adattarsi e piegarsi, e ha giudicato come errori, eccessi o difetti quelli che eran caratteri peculiari (L. Pirandello). Per eccessi spesso legati alla morale, si userà anche abuso (di abuso in abuso, io era giunto a riconquistare la mia primitiva libertà col consenso di Giuliana [G. D’Annunzio]), legato talora alla sfera dei comportamenti civici: (il suo è un abuso di potere); o, ancora più accentuati, incontinenza, intemperanza, sfrenatezza, smoderatezza, sregolatezza, stravizio (usato, spesso al plur., anche per eccessi nel bere o nel mangiare: gli stravizi gli hanno procurato un’indigestione); molti procurano dimenticare sé medesimi o nel tumulto de’ piaceri o nelle vicende dell’ambizione o nei pericoli della gloria o nella intemperanza de’ vizi o nello splendore della magnificenza (A. Verri); non voglio dire ch’egli resistesse alla smoderatezza dei castellani vicini (I. Nievo). In accezione morale, e. è più spesso usato al plur.: a quanti e. / t’indusse mai la scellerata speme! (P. Metastasio). In simili casi e. può essere sinon. anche vizio, spec. al plur.: non sapevo come fare a distaccarmi dai vizi (C. Goldoni). I contr., invece, sempre al sing., sono misura, moderazione e il più formale temperanza: la moderazione di ciascuno affetto è lodevole (T. Tasso); tu il picciolo fallo con grandissima temperanza mitigasti (G. Boccaccio).