eccezionalismo
s. m. La convinzione di essere investiti di un ruolo e di una missione ritenuti eccezionali e straordinari. ◆ Il grande economista [Paul Samuelson] riflette da filosofo. Tanto che potrebbe far luce per lui il filosofo Daniel Bell, quando parla dell’«eccezionalismo americano». È la persuasione, radicata nella storia e nella cultura d’America, di essere «il nuovo paese», portatore della «nuova cultura». Non è un pensiero folle e neppure presuntuoso. (Furio Colombo, Repubblica, 11 settembre 1999, p. 43, Cultura) • L’eccezionalismo americano, che vede se stesso come una città luminosa in cima alla collina, ha sempre sostenuto di rappresentare valori universali al di là dei dettami tradizionali dell’interesse nazionale. In questo senso, con il suo secondo discorso inaugurale il presidente [George W. ] Bush ha ribadito con grande forza un punto molto importante del pensiero americano in fatto di politica estera: in un mondo di guerre sante, terrorismo e proliferazione delle armi di distruzione di massa, propone una sfida che va al di là degli interessi dei singoli paesi e che società diverse possono accettare senza pregiudicare i propri. (Henry Kissinger, Stampa, 5 maggio 2005, p. 26, Società e Cultura) • Nella letteratura sociologica ci si è, da tempo, riferiti all’«eccezionalismo» americano e alla unicità europea. Un esempio chiarissimo e famoso di che cosa significhi il primo termine lo troviamo nel discorso inaugurale che [Bill] Clinton fece in occasione della sua seconda presidenza (1997): l’America ha una missione e un destino speciale, è il luogo dove avvengono trionfi eccezionali e se vengono commessi errori, come la schiavitù o l’emarginazione delle donne, questi vengono poi corretti dal genio americano. (Fabio Ranchetti, Corriere della sera, 17 marzo 2008, p. 15).
Adattato dall’ingl. exceptionalism.
Già attestato nella Repubblica del 1° settembre 1993, p. 31, Cultura (Marco Panara), con riferimento alla peculiarità del Giappone e della sua cultura.