ecclesialese
s. m. Linguaggio tipico del mondo ecclesiastico, talvolta caratterizzato dalla presenza di termini oscuri o di difficile comprensione. ◆ l’orizzonte dei destinatari è a spettro variegato e comprende pure credenti dalla fede pallida e agnostici. Più o meno questi erano i destinatari anche del primo annunzio cristiano che in greco era detto kerygma, un vocabolo entrato nell’«ecclesialese» postconciliare. Il termine allude alla proclamazione pubblica di un araldo (il keryx, appunto) in mezzo al foro, davanti a un uditorio indifferenziato. (Sole 24 Ore, 16 aprile 2000, p. 31, Religioni e Società) • [tit.] L’ecclesialese «senza sesso» fa i Magi femmina (Avvenire, 11 febbraio 2004, p. 21, Agorà) • Il ragazzo di oggi è certamente molto più povero di fantasia dei ragazzi di una volta che leggevano e immaginavano quanto appreso dalla carta scritta. Ne abbiamo prova evidente - dice monsignor [Gianfranco] Ravasi - nel linguaggio dei nuovi politici, il cosiddetto «politichese», prima ancora che nell’«ecclesialese»: è l’indice di un generale impoverimento formativo e culturale. (Raffele Alessandrini, Osservatore romano, 19 gennaio 2008, p. 5).
Derivato dall’agg. ecclesiale con l’aggiunta del suffisso -ese.
Già attestato nel Corriere della sera del 26 luglio 1995, p. 1, Prima pagina.
V. anche clericalese.