elderspeak
s. m. inv. Linguaggio puerile, molto semplificato nella fonologia, nel lessico e nella sintassi, ricco di variazioni nell'intonazione della voce e di forme alterate, usato talvolta dagli adulti nel rivolgersi agli anziani. ♦ Le persone anziane sono “come bambini” nel senso che hanno bisogno di pazienza, attenzione, cure, comprensione ed affetto. Forse in alcuni momenti richiedono la nostra attenzione e la nostra protezione in modo paternalistico, ma questo non significa che dobbiamo comunicare con loro tramite un linguaggio infantile (elderspeak, in inglese). (La mente meravigliosa.it, 13 gennaio 2017, Benessere) • Perché trattiamo gli anziani come fossero bebè? Perché li apostrofiamo con vezzeggiativi scemi e toni con cui ci rivolgeremmo ad un cinquenne? Si chiama «elderspeak», ed è il termine coniato da Becca Levy, psicologa dell’università di Yale, per indicare il linguaggio paternalista che usiamo con gli anziani, spesso senza farci caso. (Costanza Rizzacasa d’Orsogna, Corriere della sera.it, 20 marzo 2019, Liberi Tutti, p. 25).
Dall'ingl. elderspeak, a sua volta composto dall'agg. elder ('più vecchio') e dal v. (to) speak ('parlare').
Nella letteratura scientifica in lingua inglese il termine è censito sin dagli anni Ottanta del Novecento. In quella italiana compare in M. Cesa-Bianchi, Giovani per sempre?, Laterza, Roma-Bari, 1997, e successivamente, anche nel Nuovo dizionario delle disabilità, dell'handicap e della riabilitazione (Roma, Armando, 2009) di Renato Pigliacampo.