eurocratico
s. m. e agg. Chi detiene il potere nelle istituzioni comunitarie europee; relativo al potere delle istituzioni comunitarie europee. ◆ a colpire non è la contraddizione tra il dirigismo eurocratico e la storia stessa dell’integrazione europea (che mosse i suoi primi passi proprio come «mercato comune»). Nemmeno il tentativo di soffocare la grande civiltà federale dell’Europa (da sempre urbana, regionale, multinazionale e pluriculturale) nelle spire di un nuovo Leviatano. No, a colpire è il silenzio inerte degli abitanti della sua componente geostorica più rilevante: il Mezzogiorno d’Italia. Sembra che qui non vi sia nessuno in grado, per autorevolezza e idee nuove, di parlare al cuore dell’Europa. (Mauro Maldonato, Repubblica, 12 giugno 2001, Napoli, p. I) • La critica all’Europa è non solo legittima, ma anche necessaria. «Ma l’Europa», aggiungono [Yves] Mény e [Yves] Surel, «costituisce anche il capro espiatorio ideale per tutti i mali degli Stati membri, e diventa il bersaglio preferito di tutti i veri populisti, cui si aggiungono i governi e le loro maggioranze che possono tranquillamente comportarsi come se fossero all’opposizione: partecipano al governo dell’Europa a Bruxelles, e al tempo stesso dalle loro capitali sparano a zero contro gli eurocratici». (Paolo Mieli, Corriere della sera, 12 novembre 2004, p. 43, Commenti) • Sul piano dell’interesse nazionale l’Italia ha condotto bene il suo gioco piazzandosi, nella recisione dei lacci e lacciuoli eurocratici, a fianco di Parigi e di Berlino. Il governo Berlusconi, grazie all’abilità del ministro [Domenico] Siniscalco, che è stato uno dei principali protagonisti del negoziato di Bruxelles, ha pilotato con successo la trasformazione del Patto e ne ha chiesto per primo la revisione. (Enzo Bettiza, Stampa, 26 marzo 2005, p. 1, Prima pagina).
Derivato dal s. m. e f. eurocrate con l’aggiunta del suffisso -ico.
Già attestato nella Repubblica del 20 giugno 1992, p. 12, Commenti (Guido Bolaffi).