evidenza
evidènza s. f. [dal lat. evidentia, der. di evĭdens -entis: v. evidente]. – 1. L’essere evidente: non si può negare l’e. dei fatti; l’e. della sua colpa è fuori discussione; la schiacciante e. delle prove; non com., dimostrare, provare a e., o fino all’e., in modo chiaro e indubitabile: provò a e. il proprio alibi; con uso assol.: arrendersi all’e., cedere di fronte alla verità manifesta. Comune l’espressione mettere in e., far rilevare, sottolineare, rendere evidente, manifesto: il ministro mise in e. i punti qualificanti del disegno di legge; le ultime vicende hanno messo in e. le sue doti di equilibrio e di buon senso; la radiografia ha messo in e. un forte abbassamento del rene sinistro; mettere in e. una pratica, negli uffici, mettere in vista l’inserto che la contiene perché venga esaminata con precedenza su altre; nel rifl., mettersi in e., mettersi in mostra, farsi notare. In filosofia, e in partic. in alcune teorie gnoseologiche, l’evidenza risulta essere il criterio di verità intermedio tra quello oggettivistico dell’adeguazione (dell’intelletto alle cose) e quello soggettivistico della certezza: essa tende infatti a persuadere della verità di un contenuto conoscitivo solo in forza di una chiarezza, di una coerenza da esso posseduta, come per es., nella gnoseologia cartesiana, l’e. delle idee chiare e distinte. 2. Qualità dello stile, per cui la parola esprime con chiarezza e stringatezza il pensiero: la e. dello stile viene dalla brevità propria e potente (Tommaseo). 3. Nel linguaggio burocratico, spec. al plur., documento conservato come promemoria di un'operazione effettuata o da effettuare.