femminicidio
(feminicidio), s. m. Uccisione diretta o provocata, eliminazione fisica o annientamento morale della donna e del suo ruolo sociale. ◆ Le donne non possono lavorare, andare a scuola, frequentare i bagni pubblici, lavare vestiti al fiume, camminare da sole, viaggiare se non accompagnate da un maschio adulto della loro famiglia, calzare sandali che emettano suoni, essere assistite da un medico durante il parto. Questi divieti si sono tradotti in un femminicidio prolungato, per fame o per infezioni, ma non sempre indiretto. (Guido Rampoldi, Repubblica, 7 ottobre 2001, p. 12, Politica estera) • L’assassinio di due amanti non andrà classificato, evidentemente, nella categoria del feminicidio, oggi oggetto di studio nelle università americane. Certo, come il feminicidio e l’infanticidio colpiscono i più deboli, anche l’uccisione di due amanti colpisce due esseri umani nel momento in cui sono più esposti e quando si sentono più innocenti. (Carlo Bertelli, Corriere della sera, 21 luglio 2004, p. 31, Cultura) • Un termine forte ma che rende l’idea: «femminicidio». È l’olocausto patito dalle donne che subiscono violenza: da Nord a Sud, per aggressioni domestiche o fuori di casa, per casi meno eclatanti o finendo all’ospedale quando non al cimitero. Per mano di famigliari, compagni, congiunti, per lo più. (Roberto Lodigiani, Stampa, 17 gennaio 2008, Novara, p. 65).
Composto dal s. f. femmina con l’aggiunta del confisso -cidio.