fine. Finestra di approfondimento
Problemi di genere - Il sign. principale di f., parola dall’area semantica molto estesa, è quello temporale di «stadio terminale di un evento o momento preciso in cui l’evento termina». In questa accezione è sinon. di conclusione e termine e ha come contr. più com. inizio e principio. Anche se il genere in cui è solitamente usato in questo sign. è il femm., non mancano residui dell’antico genere masch., come per es. nell’espressione lieto f. o nel sign. di «limite che non si può oltrepassare» (è ora di porre un f. a tutta questa crudeltà). Anche fine settimana, calco dell’ingl. weekend, viene abitualmente usato al masch. (benché non manchino attestazioni del femm.: la f. settimana o della settimana), in questo caso probabilmente anche per la tendenza dell’italiano a dare il masch. alla gran parte dei prestiti dall’inglese (abitudine peraltro abbastanza recente: si ricordino, per converso, casi ancora novecenteschi quali la film - sia masch. sia femm. anche in fr. - corrispondente all’ital. «la pellicola»: nella concorrenza che la film fa al teatro non soffrono che gli elementi drammatici scadenti [G. Gozzano]).
Fine in senso temporale - Rispetto a f., termine e conclusione suonano spesso meno perentori, oltreché più formali: il suo tradimento segnò la f. della nostra storia d’amore; la sua inquietudine aumentava avvicinandosi al termine del suo viaggio che le parve eterno (G. Verga); inoltre, conclusione viene spesso usato con un’accezione più specifica: è la logica fine di qualcosa, o quantomeno la fine così come la si poteva dedurre dallo svolgimento di una situazione, ed è spesso riferito a discorsi, pensieri e sim.: tentiamo di stringere l’argomento per venire alla conclusione (C. Goldoni). Con cessazione si indica per lo più la fine di fenomeni o attività che avrebbero potuto avere un decorso più lungo: la cessazione improvvisa d’ogni tumulto pareva straordinaria (G. D’Annunzio); fu dichiarata la cessazione delle ostilità. Chiusura (con il contr. apertura) viene usato soprattutto per indicare la fine di discorsi, scritti, attività commerciali, o in espressioni partic. come per es. chiusura (o apertura) dell’anno scolastico: quando frequentava il liceo, alla chiusura dell’anno, i suoi genitori venivano in città e lo accompagnavano alla scuola a prendere il certificato (I. Svevo). Epilogo designa la fine di un’opera letteraria (teatrale, musicale, cinematografica, ecc.) e, in senso lato, è usato anche per la fine, spesso tragica, di un evento, di una storia, di una relazione e sim.: fu l’epilogo buffo e clamoroso d’una quieta sciagura che durava da lunghissimi anni (L. Pirandello). Ancora più specificamente connesse al repertorio letterario, teatrale e musicale sono chiusa e finale, usate anche in in senso estens.: richiuse gli occhi e a bassa voce recitò la chiusa della lettera, che sapeva a memoria (L. Pirandello); siamo prossimi al gran finale.
Contrari - Rispetto ai già cit. inizio e principio (il secondo più formale), avviamento,avvio e cominciamento sono meno com., e l’ultimo decisamente desueto. Avviamento è più lett. e, insieme col più moderno avvio, è usato essenzialmente a proposito di attività, carriera, discorsi e tutto quanto esprima l’idea del movimento, anche in senso fig., o dell’incentivo: basta dar avviamento alle cose (V. Cuoco); era certamente un avviamento alla sua carriera e se aveva senno doveva rallegrarsene (I. Svevo); la questione ha avuto un buon avvio. Decisamente ricercata è la metafora marinaresca di abbrivo (o abbrivio), termine impiegato per lo più nel senso di «slancio, spinta iniziale»: quell’andare e venire, quei misteri, quei pericoli avean dato l’abbrivo alla mia immaginazione infantile (I. Nievo). Per indicare l’inizio di un discorso o di un brano letterario (teatrale o musicale), oltre al già visto apertura, sono possibili anche attacco,esordio e il latinismo incipit, tutti (anche se l’ultimo è molto poco com.) attestati anche in senso estens., riferiti per lo più a situazioni o relazioni: questo fu l’esordio del nostro rapporto. Introduzione, limitato preferibilmente a brani scritti, allude alla sezione iniziale di un discorso o anche al modo di cominciare qualcosa: in sostanza quel chieder la proroga dell’a‡ranco della dote non era stato che un esordio, una introduzione alla proposta di usare per l’avvenire al genero il pagamento della ricchezza mobile (I. Svevo). Contr. di f. più formali, usati al plur., sono albori, origini, primordi: ma spesso, negli albori della sua giovinezza, un vapor torbido l’aveva intristita (G. D’Annunzio); nessuno aveva nominato Rocca Imperiale e tutti cinque l’avevano scordato fin dai primordi della cena (R. Zena).
Fine in senso spaziale - F. ha anche il significato spaziale di «punto estremo non oltrepassabile », ovvero (ant.) «punto in cui finisce un territorio» o«punto estremo di un oggetto»: il cavo era talmente lungo che non se ne vedeva la fine. Il sinon. più specifico per segnalare la delimitazione di un territorio è confine (per andare oltre il confine è necessario il passaporto). Sinon. più generici, e possibili anche con senso estens., sono delimitazione, demarcazione, limite: tra i due concetti non c’è alcuna delimitazione; sono giunto al limite della sopportazione. Barriera indica un confine ben tangibile, per lo più elevato e insuperabile (anche fig.: fra l’amor suo e quello del giovine, che si attraevano, quella stessa vita prosaica elevava una barriera [G. Verga]). In senso fig., a indicare il contenimento di passioni, desideri e sim., si parla spesso di argine, freno, limite: le spalle, il collo, il viso s’infiammarono sotto la violenza di quel piangere dilagato, a cui il buon Melchisedecco non sapeva come porre un argine (E. De Marchi); pensai che io dovevo imporre un certo freno alla mia libertà (L. Pirandello). Se infine si intende la parte terminale di determinati oggetti (la f. della manica ha l’elastico,alla fine della strada c’è un bar), esiste tutta un’altra gamma di sinonimi. Estremità è il più generico, appropriato per tutti gli oggetti di forma più o meno allungata (l’estremità di una strada, di un dito, di un foglio, di un ramo). Apice, cima e sommità si riferiscono a oggetti allungati, disposti verticalmente, soprattutto alle montagne, così come vetta. Sono possibili tuttavia, specie per apice e cima, numerosi altri sign. riportati sotto i lemmi relativi. Punta è più generico e riferito a oggetti dall’estremità acuminata, non necessariamente disposti in senso verticale (la punta di una matita, della lingua, delle scarpe). Bordo, ciglio, margine e orlo indicano per lo più la parte laterale di un oggetto, il perimetro, la parte più esterna e sim.: dei candelieri vuoti, con i bordi di latta dorata (F. Tozzi); dinnanzi alla fila dei casolari sul ciglio dell’orto si alza una più breve fila di porcili (A. Oriani); io sto sdraiato accanto a lei sul margine del letto (S. Slataper); lasciò sull’orlo del portico esteriore i sandali (A. Manzoni).