gabella
gabèlla s. f. [dal lat. mediev. gabella, che è dall’arabo qabāla «garanzia, cauzione, contratto»]. – 1. Termine usato fin dal medioevo per indicare varie forme di contribuzione, imposte dirette o indirette, tasse, o anche aggregati di più tributi, ristrettosi col tempo a designare la sola imposta o dazio di consumo: g. del grano, della macinatura, del pane, del vino; g. dell’entrata, dell’uscita; g. dei pesi e delle misure; g. del ripatico, ecc.; imporre una g.; pagare, riscuotere la g.; un ricco fiorentino ... per frodare una g. di meno di sei denari, ne pagò, con danno e con vergogna, maggior quantità (Sacchetti); fig., fare il tonto (o il gonzo, il minchione e sim.) per non pagar gabella, fingere ignoranza di qualche cosa per evitare noie o punizioni. Anche l’ufficio che amministrava la gabella, il luogo dove risiedeva, e il luogo dove si pagavano le gabelle; g. del sale, il magazzino dove si vendeva il sale. Contratto di gabella, contratto agrario in uso nell’Italia merid. fino al 1964 per la raccolta delle olive. 2. Moneta
d’argento della zecca di Bologna del valore di 26 quattrini che si cominciò a coniare nel sec. 16° durante il pontificato di Giulio III, così chiamata perché probabilmente corrispondeva all’ammontare di una gabella allora stabilita. ◆ Accr. gabellóne m. (v.).