garbo3
garbo3 s. m. [prob. dall’arabo qālib «modello»]. – 1. a. Leggiadria, grazia, bella maniera nei movimenti, nel contegno, e soprattutto nel trattare con le persone, quindi anche cortesia, compitezza: è un giovane pieno di g.; tratta tutti con molto g.; chiedere, parlare, fare un’osservazione con g.; persona di g., signorile e compita nei modi; persona senza g., goffa, sgraziata. b. Modo aggraziato, e quindi gradevole, di fare o eseguire qualcosa: leggere, esporre, scrivere, cantare, suonare, dipingere con g.; voleva fare dei complimenti, ma gli manca il g.; di garbo, locuz. agg. riferita a persona che ha grazia nell’operare o nel comportamento: la faccia disegnare, non da qualche imbiancatore, o da qualche arrotino, ma da un pittore di g. (Redi); La donna di g., titolo di una commedia di C. Goldoni (1743), la prima da lui interamente scritta; avere g. a una cosa, averci attitudine; fare una cosa a g., farla bene, a modo (ellitticamente, riferito alla cosa stessa: lavoro, discorsi, disegni a g., fatti bene; anche iron.: uno scappellotto, un pugno, una strapazzata a g.); al contrario, senza g., senza g. né grazia, di cosa fatta male. c. tosc. Con sign. più generico, atto, gesto: a quelle parole, fece un g. di dispiacere; g. da villano, da matto, da spiritato; fare un brutto g., un mal g., un’azione scortese. 2. ant. Parlando di vini, sapore grato, amabile: per dargli il frizzante, senza cui non ha g. (B. Davanzati). 3. Riferito a cose, esattezza, finitezza, bella forma: dare il g. a un abito, alle pieghe d’un vestito, ai contorni di un disegno, di un modello in creta, ecc.; anche, la linea curva di certe opere d’arte: non è possibile veder la varietà de’ g. di que’ vasi (Vasari). Nella costruzione navale, indica tanto la curvatura dello scafo, quanto la sesta di legno con cui essa si rileva per lavorare esattamente le parti. ◆ Dim., non com., garbino, garbétto, atto, gesto, modo di trattare delicatamente aggraziato; pegg. garbàccio, mal garbo, atto scortese, mossa sgraziata, o anche versaccio: mi sentii un groppo alla gola, la bocca mi si storse in un garbaccio, e cominciai a piangere a dirotto (G. Nobili).