garrire
v. intr. [lat. garrire, voce onomatopeica] (io garrisco, tu garrisci, ecc., ant. io garro, tu garri, ecc.; aus. avere). – 1. Emettere garriti: Su l’albero le scimmie e i pappagalli Garrìan (Carducci); Com’è allegro de’ passeri il garrire! (Carducci); Le rondini garrivano assordanti (Gozzano). Riferito a persona, rimproverare (meno com. brontolare, cianciare vanamente) con voce stridula: non rifinano di g. a’ fanti loro e di sgridarli (Della Casa); in questa accezione, nell’uso ant. o letter., anche trans.: egli l’aveva garrito (Boccaccio); finimmo per potere ogni giorno conversare assai, senza che alcun superiore più avesse quasi mai a garrirci (Pellico); g. con qualcuno, ant., litigare, stizzirsi con lui: Con Amor, con madonna e meco garro (Petrarca). Fig., poet.: Pur che mia coscïenza non mi garra (Dante), non mi rimproveri, non mi rimorda. 2. letter. Fremere rumorosamente, com’è proprio delle bandiere, delle vele o di altri drappi quando sono agitati dal vento: le bandiere garriscono al vento; la [vela] maestra sbatteva e garriva come un vessillo (D’Annunzio).