genere
gènere s. m. [dal lat. genus -nĕris, affine a gignĕre «generare» e alle voci gr. γένος «genere, stirpe», γένεσις «origine», γίγνομαι «nascere»]. – 1. Nel suo sign. più ampio, termine indicante una nozione che comprende in sé più specie o rappresenta ciò che è comune a più specie. In partic.: a. In filosofia, categoria di oggetti che hanno in comune proprietà essenziali mentre differiscono per proprietà non essenziali; in partic., nella filosofia scolastica, uno degli universali (l’altro è la specie); g. prossimo, quello suddiviso in specie («animale» è genere prossimo della specie «uomo»); g. remoto, quello che, per la sua estensione, include generi di minore estensione («vivente» è genere remoto della specie «uomo»). b. Nella classificazione botanica e zoologica, categoria sistematica di rango superiore alla specie e inferiore alla famiglia (secondo le regole della nomenclatura, i generi si indicano con un sostantivo latino, o considerato latino, che si scrive con l’iniziale maiuscola). c. In matematica, g. di una curva algebrica, numero che esprime certe proprietà analitiche e topologiche della curva; il concetto è stato poi esteso alle superfici e alle varietà algebriche (g. aritmetico, geometrico, superficiale, ecc.). 2. a. Nel linguaggio com., l’insieme dei caratteri essenziali per cui una cosa è simile ad altre o differisce da altre; con tale sign., è per lo più sinon. di qualità, sorta, tipo, e anche di specie (nel senso più largo e meno scientifico di questo vocabolo): è un g. di vita che mi piace; frequentare persone d’ogni g.; uno scherzo di cattivo g.; non è questo il g. di spettacolo che fa per me; cosa di nuovo g., d’un g. tutto suo, strana, singolare; cosa bella, buona, perfetta nel suo g., che è tale in paragone con altre di tipo affine; del g. (come locuz. aggettivale), simile: si è parlato di cinema, di sport e di altre cose del g.; meno com., del mio (tuo, nostro) g., che s’avvicina o somiglia a me (a te, a noi), che risponde al mio (tuo, nostro) gusto: è una persona del mio g.; non è un lavoro del suo genere. b. Con sign. più ampio, il g. umano, l’umanità intera, gli uomini nel loro complesso; in questo senso, anche la specie umana (che ha però sign. più restrittivo, e fa più sentire la contrapposizione agli animali). c. Si contrappone invece a specie nella locuz. avv. in genere, che, come l’analoga locuz. in generale (di cui non è sempre sinon.), significa «generalmente, senza scendere a particolari, di solito» e sim. d. Con senso concr., nel linguaggio comm., spec. al plur., merce, prodotto: g. alimentari; generi di consumo, di prima necessità; generi di lusso, voluttuarî, ecc. 3. a. In letteratura, secondo una distinzione che risale all’estetica classica o classicistica, sono state chiamate generi (letterarî) le varie forme di espressione letteraria: g. drammatico, narrativo, epico, didascalico, lirico, a seconda dei mezzi espressivi adoperati e degli argomenti trattati. b. Analogam., nell’oratoria classica, g. deliberativo, giudiziale, dimostrativo (o epidittico), secondo che l’orazione fosse destinata alle assemblee, ai tribunali, o intesa alla lode o al biasimo; in retorica, g. di linguaggio (lat. genera elocutionis): g. tenue o umile, usato per dimostrare, le cui virtù sono chiarezza, semplicità, correttezza; g. medio, per dilettare, che fa uso moderato di ornamenti retorici; g. sublime, per commuovere, che ne fa uso sapiente per conferire magnificenza al discorso. c. In musica, g. strumentale, vocale, vocale-strumentale, teatrale, sacro, profano, ecc., a seconda degli strumenti adoperati e dei temi trattati; in partic., nella musica greca, denominazione dei sistemi diatonico, cromatico, enarmonico. 4. a. Categoria grammaticale esistente nelle lingue indoeuropee, semitiche e in molte altre famiglie linguistiche, alcune delle quali distinguono tre generi, maschile, femminile e neutro (per es., il latino, il greco, il tedesco), altre, come l’italiano e il francese tra le lingue moderne, soltanto due, maschile e femminile; la distinzione del genere, che solo in un ristretto gruppo di sostantivi è connesso con il genere naturale, si manifesta nella declinazione dei sostantivi, dei pronomi e degli aggettivi, e nell’accordo tra essi. b. Per estens., con riferimento alla specie umana, carattere maschile o femminile dell’individuo, anche in senso biografico, sociale, professionale, come nell’espressione identità di genere, con cui s’intende la costellazione di caratteri anatomo-funzionali, psichici, comportamentali che definiscono il genere in sé stesso e in quanto posseduto, accettato e vissuto dall’individuo nella storia familiare da cui proviene e nella società in cui vive. c. G. del verbo, categoria grammaticale della coniugazione, di natura sintattica; nelle lingue indoeuropee non ha rilievo morfologico, ma consiste solo nella possibilità che ha ogni verbo di accordarsi sintatticamente con i nomi: così il genere del verbo, e il verbo stesso, è transitivo, quando ha la possibilità di accordarsi con un nome in accusativo (o complemento diretto), intransitivo quando il caso o complemento è diverso dall’accusativo, oppure il verbo è usato assolutamente. 5. Pittura di genere (e analogam. quadro, quadretto di g.), denominazione della pittura, in partic. quella dei pittori olandesi del 17° sec., che ritrae scene di vita quotidiana, di carattere aneddotico, spicciolo, con fedeltà di minuta riproduzione. Per estens., nell’arte narrativa, quadro o quadretto di g., rappresentazione vivace d’una scena della vita reale fatta con lo stesso gusto aneddotico.