genitivo
agg. e s. m. [dal lat. genetivus o genitivus (casus), propr. «generativo», che nel sign. grammaticale è ricalcato sul gr. γενικὴ πτῶσις «caso che indica un genere» cioè una specificazione]. – Caso g. (o semplicem. genitivo s. m.), il secondo caso della declinazione greca e latina, distinto (come in altre lingue flessive, anche moderne, a cui il nome è stato esteso per analogia) da desinenze proprie; ma già nel 1° secolo d. C., in latino il genitivo di tipo flessivo cede a una costruzione analitica con la prep. de (meno spesso ex), che si è conservata nelle lingue neolatine per esprimere la maggior parte delle funzioni che erano proprie del genitivo latino. Gli usi più frequenti che questo aveva in età classica sono: in dipendenza da sostantivi, il g. di specificazione e quello epesegetico, il g. possessivo, il g. partitivo, il g. soggettivo e oggettivo, il g. di qualità; in dipendenza da verbi, il g. di stima, di prezzo, di accusa e di condanna o di pena, di memoria, ecc.; si aveva inoltre un g. locativo, in cui la desinenza del genitivo, confusasi, per la 1a e 2a declinazione, con quella dell’antico caso locativo, serviva a esprimere anche il complemento di stato in luogo (v. locativo1, n. 1). Limitatamente al greco, g. assoluto, sintagma ottenuto dalla concordanza di un participio con un nome declinato al genitivo, e usato per esprimere determinazioni accessorie (di tempo, di causa, ecc.), in posizione sintattica indipendente dalla proposizione reggente, analogo quindi all’ablativo assoluto latino. Per il g. sassone, v. sassone. Per estens. analogica, si parla talvolta di genitivo con riferimento a lingue prive di veri e proprî casi, come l’italiano, per indicare il complemento di specificazione, o altro complemento formato con la prep. di.