gente /'dʒɛnte/ s. f. [lat. gens gentis, affine a gignĕre "generare", genus, genĭtus, ecc.]. - 1. a. [gruppo di persone unite da un'origine comune: g. latina, germanica] ≈ ceppo, (lett.) nazione, popolo, progenie, (lett.) prosapia, schiatta, stirpe. b. (estens.) [al plur., l'insieme di tutti gli uomini: difendere i diritti delle g.] ≈ (lett.) nazioni, popolazioni, popoli. 2. (ant.) [al plur., appellativo con cui, nei primi secoli del cristianesimo, venivano designati coloro che erano di religione pagana] ≈ e ↔ [→ GENTILE² s. m.]. 3. [numero indeterminato di individui considerati collettivamente: la sala era piena di g.] ≈ persone. ● Espressioni: brava gente, gente per bene [persone oneste, rispettose delle norme morali e sociali] ↔ (spreg.) gentaccia, (spreg.) gentaglia, (non com.) gentame, (ant.) gentucca. ↑ gente di malaffare; gente d'armi ≈ militari, soldati; gente del posto ≈ aborigeni, autoctoni, indigeni, locali, nativi; gente di fuori ≈ forestieri, stranieri; gente di malaffare [persone della malavita] ≈ ↓ (spreg.) gentaccia, (spreg.) gentaglia, (non com.) gentame, (ant.) gentucca. ↔ brava gente, gente per bene; gente di toga ≈ giudici, magistrati. 4. (ant.) [gruppo di armati schierati a battaglia: g. a cavallo, a piedi] ≈ esercito, (ant., lett.) gesta, milizia, truppa.
gente. Finestra di approfondimento
Raggruppamenti per origine o residenza - Una moltitudine di persone può essere indicata in vario modo, a seconda dei contesti. Se si fa riferimento all’origine comune di una famiglia o più ancora di un popolo si usano vari termini, tutti per lo più lett.: ceppo, g., progenie, prosapia, schiatta, stirpe (quest’ultimo è il più com.): simile a una Erinni familiare, ella presiedeva alla dissoluzione della sua progenie (G. D’Annunzio); tutti gli Uzeda erano gloriosi della magnifica origine della loro schiatta (F. De Roberto); vi erano là tutti i membri numerosi di quella forte stirpe che aveva durato sette secoli (G. Verga). Nazione e popolo esprimono in più il concetto di gente che vive nello stesso territorio politico, nello stesso stato: appello a tutta la nazione; in nome del popolo italiano. Affine è popolazione, che però ha un’accezione più ampia di popolo, designando non soltanto tutti gli abitanti di uno stato, ma anche quelli di una città, di una regione e sim.: la popolazione di Parigi è assai grande (C. Goldoni). Specificamente riferito all’insieme delle persone che abitano in una città o in un paese è cittadinanza, che è quindi d’uso più ristretto di popolazione: arringava la cittadinanza sulla piazza del Duomo (V. Imbriani); la cittadinanza o la popolazione di Roma; la popolazione europea. Più generico, e non compromesso con riferimenti a origini o a valori comuni ma soltanto al dimorare nel medesimo luogo, è il plur. abitanti: tutta l’attività degli abitanti si riversava fuori del villaggio, sui campi (I. Svevo). Rispetto a tutti questi termini, g. è talmente generico da sembrare spesso inappropriato, a meno che non si voglia sottolineare certo insieme indistinto di persone, spesso inteso in senso spreg.: non sopporto la g. italiana; la g. di Milano pensa soltanto al lavoro.
Insieme indistinto di persone - Se invece si fa riferimento a molte persone, per lo più casualmente riunite, non legate tra loro da vincoli particolari, si parla, oltre che di g., di folla o massa: è meglio andare a fare la spesa all’ora di pranzo, perché c’è meno gente; si vedevano tra la folla molte donne di servizio (E. De Amicis). L’ultimo termine ha solitamente una connotazione negativa, alludendo alla tendenza all’annullamento delle personalità dei singoli membri: distaccarsi dai gusti della massa. Rispetto ai sinon., g., ancorché più generico, ha un uso più limitato, perché non ammette specificazioni: è impossibile dire una gente di compratori, di visitatori, di pellegrini e sim., tutti esempi possibili con folla o massa (folla di compratori, massa di visitatori ecc.). D’uso intens. è calca, per intendere una folla particolarmente grande, confusa e costretta in uno spazio troppo piccolo: non siamo riusciti ad entrare al cinema per via della calca (degli spettatori). Sia folla sia massa sono spesso usati anche al plurale. Con folle si indica di solito il pubblico più disparato, in accezione leggermente spreg.: le folle impazzano per quel cantante. Masse ha invece più o meno lo stesso valore del sing. massa (s’accontentava del consenso di qualche singolo artista ritenendo che la propria originalità dovesse impedirgli il successo largo, l’approvazione delle masse [I. Svevo]), anche se il termine al sing. è, in aggiunta, spesso coinvolto in espressioni o locuz. più o meno tecnicizzate e quindi non spreg.: mezzi di comunicazione di massa (spesso designati dall’espressione ingl. mass media), cultura di massa e altre. Infine, mentre g. è strettamente legato alle persone, folla e massa possono riferirsi anche a cose o idee in gran numero e caoticamente disposte: una massa di piatti da lavare; in testa gli ronzava una folla di pensieri.
In senso negativo - Numerosi sono i termini che designano un insieme di persone poco raccomandabili. Tra questi i più com. sono gentaglia e gentaccia (il primo di più antica attestazione): l’istinto, l’abitudine piuttosto del giovane ben educato non gli permise di mischiarsi senza transazioni a quanto vi avea d’impuro e d’abietto in quella gentaglia, operai d’infima classe, lustrastivali, borsaiuoli, barcaiuoli e femmine di mala vita che componevano la società di quel ballo (G. Verga). Più ricercati e spreg. sono canaglia, ciurmaglia, feccia, marmaglia e il lett. gentame: vigliacchi! Canaglia! Farabutti! (L. Pirandello); praticava la feccia dei malviventi della città e dei dintorni (E. De Amicis); i giudici i carcerieri gli esecutori i birri, e simile marmaglia, percossero sfregiarono strangolarono a mezzo l’ultima regina delle Amazoni (G. D’Annunzio). Con plebaglia si dà di solito una valutazione sociale spreg. («gente povera e rozza»), senza riferimento ad attività illecite: egli non ode se non il gran clamore di scherno che passa a traverso le canne ammutolite, lo strepito delle artiglierie, lo schiamazzo della plebaglia (G. D’Annunzio). Gente di malaffare,teppa e teppaglia alludono a persone disoneste, ladri, delinquenti e sim.: per i soldati di Erode prima della strage degli innocenti ho dovuto pensare alla teppaglia fascista (P. P. Pasolini). Com. in senso spreg. sono anche plebe,popolino o, ancora più intens., volgo, che designano di solito persone di bassa estrazione sociale, di scarsissimo livello culturale e di gusti dozzinali. Tutti i termini appena menzionati (con la parziale eccezione di feccia) non ammettono, di solito, specificazioni (ciurmaglia di disonesti suonerebbe strano), a differenza dei seguenti: accolita, accozzaglia, banda, branco, combutta, cricca, mandria, manica, masnada, orda, schiera, stuolo, torma. Vediamone alcune sfumature. Accolita (o accolta), stuolo e torma sono i più ricercati (e non sempre necessariamente riferiti a malfattori): una torma di ragazzi gioca intorno ed urla (A. Oriani). Con accozzaglia, comunque spreg., si intende soprattutto un insieme assai confuso ed eterogeneo di persone, non necessariamente cattive: lì non era altro che una, lasciatemi dire, accozzaglia di gente varia d’età e di sesso, che stava a vedere (A. Manzoni). banda, branco, mandria, orda e schiera, ancorché iron. o spreg., possono non designare necessariamente persone poco raccomandabili, ma talora soltanto povere o sfortunate: una banda di sventurati; un branco di miserabili. Orda (che, come schiera e a differenza degli altri sost., è spesso usato anche al plur.) è frequentemente accompagnato da altri termini spreg. quali barbaro, selvaggio e sim. (orde di barbari): l’asilo di pace, una sera, era stato preso d’assalto, invaso e profanato da orde selvagge (L. Pirandello). Combutta, cricca, manica e masnada (tutti e quattro abbastanza formali) rimandano oggi (ma non sempre in passato) quasi sempre a delinquenti, truffatori e sim.: la masnada di cui fui prigioniero era capitanata dal celebre Mammone, l’uomo più brutto e bestiale che io mi abbia mai conosciuto (I. Nievo).