gentese
s. m. Linguaggio comprensibile dalla gente, registro linguistico di facile comprensione. ◆ «Benché interessanti, legate come sono ai meccanismi di fondo della lingua, le forme in “ese” (eurocratese, gentese, giornalistese, e via scrutinando) hanno scarsa possibilità di attecchire. Si è arrivati a identificare persino il mancusese, cioè lo stile verbale dell’ex ministro Filippo Mancuso» [Luca Serianni intervistato da Enzo Golino]. (Repubblica, 7 settembre 1999, p. 38, Cultura) • Insomma, [Silvio] Berlusconi è un imprenditore che in un secondo tempo ha cominciato a fare il politico, per cui più che di «politichese» fa uso di frasi fatte, ed ama «il gentese», neologismo coniato dai giornalisti per alludere ad una lingua semplice, alla portata della gente comune. (Gabriele Beccaria, Stampa, 6 giugno 2002, p.5, Interno) • Nel comunicare coi francesi Ségolène [Royal] non usa il vocabolario «ortodosso» della politica, ma preferisce la parola semplice, cruda. Anche da noi, con l’avvento della «seconda Repubblica», prese piede il cosiddetto «gentese», il discorso che si voleva chiaro, diretto, esplicito, non «difficile», che doveva parlare alla gente comune. Occorreva svecchiare il linguaggio politico nostrano, così prudente e oscuro. Ma è dilagato subito un linguaggio più popolaresco, più parlato, più disinvolto ma anche più rozzo e sbracato. (Gian Luigi Beccaria, Stampa, 27 novembre 2006, p. 34, Società e Cultura).
Derivato dal s. f. gente con l’aggiunta del suffisso -ese.
Già attestato nel Corriere della sera del 19 maggio 1994, p. 2, In primo piano.