gggiovane
s. m. e f. (iron. scherz.) Rappresentazione banalizzata della categoria di chi cresce in un mondo effimero e superficiale. ◆ Al Cepu della sopravvivenza, il Pappa [Adriano Pappalardo] s’è giocato la carta migliore: quella del simpatico italiano formato villaggio vacanze. Coccola la capra Isotta, apre il cocco, parla dei «gggiovani», mangia il platano fritto, cerca i conchiglioni, spala la cacca della capra, accende il fuoco sotto la pioggia, si denuda, festeggia le cozze ritrovate, parla alla capra, danza sulla spiaggia, coglie l’uva dominicana… (Francesco Battistini, Corriere della sera, 9 novembre 2003, p. 1, Prima pagina) • attualmente i «gggiovani» si pronunciano con tre «g» fra gli stadi e il rock (Alberto Arbasino, Repubblica, 30 giugno 2004, p. 16, Commenti) • Dunque, ci sono cinque posti: uno per Le Vibrazioni, e lì non c’è santi. Uno per i Matia Bazar – e neanche lì c’è santi: per motivi che non ci interessa capire, pare che un Festival di Sanremo senza i Matia Bazar sia come una casa senza mamma, proprio non si può. Uno ai Velvet, che fanno gggiovane. (Gabriele Ferraris, Stampa, 26 febbraio 2005, Tuttolibri, p. 8).
Con ripetizione enfatica della consonante g.
Già attestato nella Repubblica del 7 dicembre 1991, p. 8, Commenti (Alberto Arbasino).