giovare
v. intr. e tr. [lat. iŭvare] (io gióvo, ecc.). – 1. a. intr. (aus. avere; con sogg. di cosa anche essere) Recare utilità, beneficio, essere vantaggioso: il moto giova alla salute; sono rimedî che giovano poco; a nulla mi è giovato il suo consiglio. b. Usato impersonalmente, giova, serve, è utile: non giova tormentarsi; a che giova piangere?; è bene, è opportuno: giova ripetere; giova sperarlo; non giova che si sappia in giro. c. tr., non com. Aiutare, favorire: g. la famiglia, la patria, gli amici; anticam., con lo stesso sign. dell’intr.: Facesti come quei che va di notte, Che porta il lume dietro e sé non giova (Dante). 2. Con la particella pron., giovarsi, seguito dalla prep. di: a. Valersi, servirsi utilmente, sfruttare a proprio vantaggio: giovarsi di un’occasione, di una conoscenza; mi sono giovato dei tuoi appunti; puoi giovarti del mio nome. Con sign. più generico, non giovarsi di qualche cosa, respingerla, sprezzarla; Ah d’una gente morta Non si giova la storia (Giusti). b. tosc. Usare o fare una cosa senza provare disgusto: puoi bere dal mio bicchiere, se te ne giovi; nessuno si gioverebbe di mangiare alla sua tavola. 3. tr. e intr., ant. o poet. Dilettare, piacere, essere gradito: a me giova di credere piuttosto (Bembo); Noi per le balze e le profonde valli Natar giova tra’ nembi (Leopardi); anche impers.: Ma perché sappi che di te mi giova (Dante).