grado1
grado1 s. m. [lat. gradus -us «passo, scalino», dallo stesso tema di gradi «camminare, avanzare»]. – 1. a. ant. Gradino, scalino: Scala drizzò di cento gradi e cento (T. Tasso). Più raram., passo: deh ferma un poco il g. (Boccaccio). b. Nel linguaggio tecn., la lastra di marmo che riveste la pedata dei gradini. 2. fig. a. Ciascuno degli stadî intermedî che conducono successivamente da uno stato a un altro, spec. nelle locuz. avv. a gradi (ant. a grado), per gradi, in ordine progressivo, con passaggio lento, senza sbalzi: procedere, aumentare, crescere, diminuire, decrescere per gradi; grado per grado, a grado a grado, di grado in grado, un passo alla volta, poco a poco; anche, adagio, lentamente: la luce si attenuava a grado a grado; a grado a grado, la sua collera si faceva più rovente (P. Levi). b. Per estens., ciascuno dei varî punti che segnano la gradazione di grandezze, entità, fenomeni e sim. i quali ammettono divisioni e passaggi con progressione crescente o decrescente: ci sono diversi g. di merito, di stima, d’intelligenza, di pazzia, d’istruzione, di cultura, di civiltà; giungere ai più alti g. della scala sociale; è sceso all’ultimo g. della depravazione; portare a un alto g. di perfezione; essere a giusto g. di cottura; la mia impazienza è giunta a un g. di saturazione. In varie tecnologie, il livello raggiunto in un’operazione: grado di raffinazione di un olio, di un petrolio; grado di fermentazione di un mosto. Più genericam., misura: in piccolo g., in sommo g., in diverso g., ecc.: è prepotente in sommo grado. 3. a. In una serie di termini la cui importanza o il cui valore varia progressivamente (in ordine crescente o decrescente), il posto che uno dei termini occupa in rapporto agli altri: patente, brevetto, diploma di 1°, 2°, 3° g.; scuola di g. preparatorio, la scuola materna; scuole di 1°, 2° g., o di g. primario, secondario (e genericam., scuole di ogni ordine e grado); ustione, scottatura di 1°, 2°, 3° g.; scosse sismiche dell’8° g. della scala Richter; interrogatorio di 1°, di 2°, di 3° g., con riferimento a determinati sistemi polizieschi, secondo l’ordine crescente di gravità dei metodi in essi usati; in partic., interrogatorio di terzo g., o assol. terzo g. (ingl. third degree), espressione che indica il ricorso indiscriminato a metodi coercitivi per ottenere confessioni da persone sospettate di un crimine; in usi fig., serie di domande poste in modo pressante: mia madre mi ha fatto il terzo g. per sapere dov’ero stata. b. Grado delle feste, in liturgia, la diversa solennità delle celebrazioni liturgiche di un determinato giorno liturgico. c. Grado di parentela, il legame più o meno stretto che unisce una persona con i suoi ascendenti, discendenti o collaterali, computato in base alle generazioni che intercorrono tra essi, se in linea retta (per es., padre e figlio sono parenti in 1° g., o di 1° g., perché fra essi corre una generazione, mentre nonno e nipote sono parenti in 2° g., o di 2° g.); per la linea collaterale, il grado si computa dalle generazioni, salendo da uno dei parenti fino allo stipite comune e da questo discendendo all’altro parente, sempre escludendo il comune capostipite (per es., i cugini sono parenti in 4° g., zio e nipote in 3° grado). d. Grado di nobiltà, il titolo di nobiltà di cui qualcuno è investito (barone, conte, marchese, ecc.), considerato come parte di tutta la serie dei titoli o in rapporto a questi; analogam., g. cavallereschi, la serie dei varî titoli cavallereschi: cavaliere, commendatore, ecc. e. In diritto, gradi di giurisdizione, i varî esami a cui può essere sottoposta una controversia (v. giurisdizione). f. In linguistica, g. consonantico, la diversità di durata e di tensione che hanno, nella pronuncia, la maggior parte delle consonanti della lingua italiana, in base alla posizione che occupano nella parola o nella frase: g. tenue (o debole), se la consonante è iniziale di sillaba e preceduta da vocale (es., la t di moto); g. medio, se finale di sillaba, o preceduta da altra consonante, o iniziale assoluta di frase fonetica (es., s, m, r, t di smorto); g. intenso (o rafforzato), che nella grafia si rappresenta raddoppiando il segno, se la consonante è divisa tra due sillabe (es., la t di motto). Per il g. apofonico, v. apofonico. g. In grammatica, grado di un aggettivo, la misura in cui la qualità espressa dall’aggettivo è posseduta da una persona o cosa, sia in sé, sia rispetto ad altri termini di paragone, e le modificazioni morfologiche che l’aggettivo subisce per indicare tale rapporto; analogam., grado dell’avverbio. Nell’uno e nell’altro caso, si parla anche, comunem., di gradi di comparazione (v. comparazione). h. In musica, ciascuno dei sette suoni di una scala musicale diatonica o dei dodici della scala cromatica. Movimento per g. congiunti, quello di una voce procedente da un grado a uno immediatamente attiguo; per g. disgiunti, quello procedente per intervalli separati da uno o più gradi intermedî. i. Nel linguaggio bancario, la misura e il modo secondo cui si combinano gli elementi che caratterizzano le attività e passività di una banca: g. di disponibilità, g. di esigibilità, g. di liquidità, g. di trasferibilità. l. Nell’alpinismo, grado di difficoltà (o assol. grado), ciascuna delle misure di difficoltà con cui viene valutata un’ascensione, variamente indicate da appositi sistemi di classificazione (s. delle difficoltà): v. scala, n. 4. m. Nella scherma, ciascuna delle tre parti in cui si divide ogni lama, distinte, partendo dalla parte più grossa, in g. forte, g. medio e g. debole. 4. a. In matematica, si chiama g. di un monomio, rispetto a una singola variabile, l’esponente della variabile stessa; g. complessivo, la somma degli esponenti di tutte le variabili che compongono il monomio: per es., il monomio 7x3y2 è di grado 3 rispetto alla x, di grado 2 rispetto alla y, e di grado complessivo 5. Si chiama g. di un polinomio, rispetto a una variabile, il grado massimo della variabile nei singoli monomî non nulli che compongono il polinomio; analogam., il grado complessivo di un polinomio è il maggiore tra i gradi complessivi dei monomî che lo compongono. Si dice infine g. di una equazione algebrica il grado del polinomio che, eguagliato allo zero, dà luogo all’equazione: equazione di 1°, di 2° grado, ecc. b. Nel linguaggio scient. e tecn. il termine, con varie specificazioni, indica la misura con cui un fenomeno si manifesta, ed è spesso sinon. di coefficiente, fattore e sim.: g. di dissociazione, g. di polarizzazione, g. di simmetria, g. di sostituzione, ecc. In chimica e in merceologia, equivale spesso a titolo: g. alcolico, la percentuale in volume di alcole in una soluzione idroalcolica e in partic. nei vini, nella birra, ecc.; g. di acidità, i grammi di acido contenuti in 1 litro di vino, in 100 g di olio, ecc.; per il g. di durezza dell’acqua, v. durezza, e, per il g. saccarimetrico, v. saccarimetrico. c. Unità di misura, soprattutto di angoli e della temperatura: g. sessagesimale (simbolo: °), la novantesima parte dell’angolo retto, ulteriormente divisa in 60 primi (′) e in 3600 secondi (′′) sessagesimali; g. centesimale (simbolo: ° o gon), la centesima parte dell’angolo retto, diviso poi in decimi, centesimi, ecc.; g. millesimale (simbolo: m), la millesima parte dell’angolo retto; g. di meridiano, la lunghezza di un arco di meridiano terrestre ampio 1 grado sessagesimale, variabile con la latitudine e di valore medio pari a 111,13 km. G. termometrico, unità di misura della temperatura, di valore differente a seconda delle scale termometriche adoperate: in partic., g. Celsius o centigrado (simbolo: °C), equivalente a 1/100 dell’intervallo termico fra la temperatura del ghiaccio fondente e quella dell’acqua bollente (corrispondendo le due temperature rispettivamente a 0 °C e a 100 °C); g. Réaumur (simbolo: °R), oggi poco usato, equivalente a 1/80 dello stesso intervallo (le due temperature essendo 0 °R e 80 °R); g. Fahrenheit (simbolo: °F), usato nei paesi di lingua o cultura ingl., equivalente a 1/180 di quell’intervallo (dove però le due temperature sono 32 °F e 212 °F); g. Kelvin, o semplicem. kelvin (simbolo: K), che coincide con il grado centigrado ed è l’unità della scala termometrica assoluta, il cui zero corrisponde a –273,15 °C. Nel linguaggio com., usato senz’altra determinazione, indica normalmente il grado Celsius o centigrado: oggi la temperatura è stata di 35 gradi all’ombra. d. In meccanica, g. di libertà di un sistema, il numero dei parametri indipendenti che occorrono per individuarne la configurazione: per es., un punto vincolato a muoversi su una superficie ha due gradi di libertà, un solido rigido libero è un sistema a sei gradi di libertà, ecc. 5. a. Il posto occupato in una gerarchia militare o civile, in una dignità, in un qualsiasi ordinamento: il g. di capitano, di colonnello; promuovere, aumentare, avanzare di grado; raggiungere i più alti g. della carriera; voltosi alla milizia, per li g. di quella, pervenne ad essere pretore di Siracusa (Machiavelli); g. inferiore, superiore; l’infimo, il più alto, il supremo g.; fig., tenere il supremo g., avere il primato: tenevano il supremo g. nella pittura (Vasari); acquistare, ottenere, conservare, perdere il g.; conferire il g.; privare del g.; destituire, rimuovere dal g.; reintegrare nel grado. Nel pubblico impiego, il grado indicava in passato la posizione dell’impiegato nell’ordinamento gerarchico: ripartizione poi sostituita da quella in coefficienti, in parametri, e infine in livelli e qualifiche, anche ai fini della determinazione delle classi di stipendio. Per i g. accademici, v. accademico. b. Con sign. concr., nell’uso com., per lo più al plur., il distintivo che, applicato sulla divisa militare, contrassegna il grado ricoperto da un ufficiale (o sottufficiale) nella gerarchia delle forze armate: attaccare il g., o i g., alla manica, al berretto; non riuscivo a veder bene, dai g., se era tenente o capitano. 6. estens. Condizione sociale, rango: persone di ogni g.; pratica solo gente del suo g.; tenere al proprio g.; crescere, salire di grado, migliorare la propria condizione (al contr., scemare, calare, scendere di grado); talora iron.: sei forse salito di g. che non saluti più? 7. Con sign. più ampio, stato, condizione, possibilità in genere: mettere, mettersi, trovarsi in g. di fare una cosa; anche, essere, non essere in g., avere o no la possibilità di fare una cosa: non sono in g. di aiutarti; siamo in g. di affermarlo con assoluta certezza; ormai è in g. di fare da sé; non sono ancora in g. di alzarmi. Dim. gradino, con accezioni proprie (v. la voce); accr. gradóne (v.).