halal
agg. inv. Nella religione islamica, conforme ai precetti; con particolare riferimento a cibi e alimenti. ◆ La gran parte degli imam d’Europa sono stipendiati dai rispettivi Paesi d’origine, da confraternite islamiche straniere oppure si autofinanziano con attività sospette quali la riscossione di tangenti sulle macellerie e il commercio di carne halal, ovvero islamicamente lecita. (Magdi Allam, Corriere della sera, 25 aprile 2005, p. 1, Prima pagina) • Se n’è accorto anche il dipartimento di stato americano della potenza dello hip hop nei tanti orienti a maggioranza musulmana. Tanto da mandare dei singolari ambasciatori in Medio Oriente per il secondo tour in un anno, «incorporando gli insegnamenti dell’islam in canzoni che parlano di rispetto e umanità», come recitano i comunicati ufficiali statunitensi. Gli ambasciatori si chiamano Native Deen, un trio nato nel 2000 nell’alveo del beatboxing, il rap che usa percussioni vocali, e che dunque è considerato halal, permesso dalle interpretazioni più rigide dell’islam in fatto di musica. (Paola Caridi, Riformista, 27 settembre 2007, p. 8) • Sempre a Lione il Comune, vessato dalle polemiche, il prossimo anno lancerà nelle mense delle scuole elementari un menu destinato ai piccoli musulmani, un menu halal. (Domenico Quirico, Stampa, 24 giugno 2008, p. 14, Estero).
Dall’arabo halal.
Già attestato nel Corriere della sera del 27 maggio 1992, p. 40, Cronaca di Milano (Alessandra Puato).