ironia
ironìa s. f. [dal lat. ironīa, gr. εἰρωνεία «dissimulazione, ironia», der. di εἴρων -ωνος «dissimulatore, finto»]. – 1. In origine, finzione (e insieme anche interrogazione): questo sign. si conserva solo nell’espressione i. socratica, con cui si riassume il procedere speculativo di Socrate, che, dichiarandosi ignorante, chiede lumi all’altrui sapienza, per mostrare come quest’ultima si riveli in effetti inferiore al suo stesso «sapere di non sapere». 2. Nell’uso com., la dissimulazione del proprio pensiero (e la corrispondente figura retorica) con parole che significano il contrario di ciò che si vuol dire, con tono tuttavia che lascia intendere il vero sentimento: fare dell’i.; parlare con i.; cogliere l’i. di una frase, di un’allusione; non s’accorse dell’i. delle mie parole. Può avere lo scopo di deridere scherzosamente o anche in modo offensivo, di rimproverare bonariamente, di correggere, e può essere anche una constatazione dolorosa dei fatti, di una situazione, ecc.; ci può essere perciò un’i. bonaria, lieve, fine, sottile, arguta, faceta, o un’i. amara, fredda, beffarda, pungente, crudele, ecc. (v. anche sarcasmo). Esempî d’ironia sono le frasi comuni: «Ma bravo!», «Ma benissimo!», «Bella figura!», «Che occhio!» o «Che mira!» (a chi per es. colpisce molto lontano dal bersaglio), «Ma sai che sei proprio carino quando mostri la lingua!», o le espressioni «quella buona lana», «quella perla di galantuomo» e simili. Un’ironia è il verso dantesco: «Vieni a veder la gente quanto s’ama!», nel canto VI del Purgatorio (v. 115), e nello stesso canto tutta l’apostrofe a Firenze: «Fiorenza mia, ben puoi esser contenta Di questa digression che non ti tocca ...» (vv. 127-151). Ironia può essere anche l’atteggiamento d’uno scrittore che investa tutta quanta la sua opera; si parla così dell’i. del Parini, alludendo al suo poema Il giorno; e di i. ariostesca, per indicare il tono particolare con cui l’Ariosto presenta i personaggi e le situazioni del Furioso, il sorriso con cui si mostra attratto dal suo mondo fantastico e nello stesso tempo cosciente della sua irrealtà. 3. a. Con riferimento al teatro greco, i. tragica, il presagio della catastrofe, che sembra essere contenuto nelle parole, dette senza intenzione, di un personaggio. b. In molti casi, il sign. della parola si avvicina a quello di beffa, derisione, scherzo crudele o maligno o insultante: la sua promessa è un’i., quando sia evidente che non potrà essere mantenuta; offrire pochi centesimi a chi ha fame è un’ironia. Comuni, in senso fig., le locuz. i. della vita, della sorte, del destino, accennando a gravi delusioni patite, al rovesciarsi improvviso di una situazione lieta, e simili.