lasciare. Finestra di approfondimento
Verbo causativo - Uno degli usi più frequenti di l. è quello come verbo causativo o fattitivo, ovvero un verbo con un debole sign. autonomo e che acquista specificità solo se accompagnato da un inf. (o da che e il cong.), al quale assegna la sfumatura di «non impedire che» (lasciami parlare = «fai in modo che io parli senza ostacolarmi»). Il sinon. più vicino a l. è fare, che tuttavia ha quasi sempre valore più forte di l. (gli ho fatto finire tutti i compiti = «l’ho costretto a finirli»; gli ho lasciato finire tutti i compiti = «non gli ho impedito di finirli» o «ho atteso che li finisse»), oppure, più raram., ancora più debole: fammi pensare che cosa posso cucinare per cena può non alludere affatto a eventuali ostacoli alla riflessione gastronomica, differentemente da lasciami pensare ..., che è più appropriato se detto a un amico invadente che non lascia il tempo di riflettere sul problema. Decisamente più intens. e formali di l. sono concedere (ogni volta che la buona sorte mi concede di stare vicino a voi, mi sembrate necessaria alla mia vita [G. D’Annunzio]), consentire (pare che la natura non ci consenta di avere in odio una persona che dica di stimarci [G. Leopardi]) e permettere (non ti permetto di trattarmi così!), che rimandano a impedimenti più consistenti. Anche i contr. impedire, proibire e vietare hanno un sign. intens. rispetto ai semplici non lasciare o non fare: ti proibisco di uscire. Mentre, però, proibire e vietare sono più appropriati a divieti espliciti, quasi sempre formulati da un essere umano, impedire è spesso legato a ostacoli di altra natura: la pioggia non mi ha impedito di uscire. Collegate al valore causativo di l. sono anche alcune espressioni cristallizzate come l. andare, l. correre, l. fare, l. perdere e l. stare, tutte col sign. di «desistere, rassegnarsi, arrendersi», e sim.: non te la prendere, lascia stare.
Allontanamento - Un altro sign. molto comune di l. è quello di «allontanarsi dalla persona amata», interrompendo così il rapporto: si sono lasciati due mesi fa; ha lasciato per me moglie e figliuoli (L. Pirandello). Sinon. più marcati sono abbandonare (adatto soprattutto se si lascia una persona in condizioni disperate: ha abbandonato moglie e tre figli piccoli), dire addio (che ha una connotazione ora enfatica ora scherz.: ai miei dolci pensieri i’ dissi: addio [G. Leopardi]; se scoprono i tuoi inganni, puoi dire addio a tutte le tue amanti), mollare e piantare (in asso), d’uso fam.: non meritava d’essere piantata (in asso) così. Ma ci si può lasciare, in modo molto più innocuo, ricorrendo ai verbi recipr. salutarsi (il sinon. più comune), congedarsi, separarsi: ci siamo lasciati non più di un quarto d’ora fa e mi ha detto che andava a lavoro. Anche come v. tr., l. può essere sinon. di allontanarsi, andare via, salutare: è tardi, ti devo l.; l’ho lasciato tre giorni fa sulla spiaggia del mare (G. Verga). Molto com. è la perifr. l. solo, nel senso di «non dare fastidio, non assillare» e sim., con i sinon. fam. l. perdere,l. in pace e l. stare: sono troppo nervoso per venire alla festa: lasciatemi solo; lasciami perdere, non voglio ascoltarti. L. perdere ha anche il sign. di «ignorare, non dare ascolto» e sim.: è un cretino, lascialo perdere. Talora, soprattutto nel cinema angloamericano doppiato, l. solo è un calco dell’analoga (sul piano del sign., meno su quello dell’uso) espressione ingl. to leave someone alone. In questi casi, leave me alone, per es., viene tradotto con lasciami solo, in luogo degli enunciati più agili (e quindi più appropriati, nell’ital. colloquiale) lasciami stare, lasciami in pace, o vattene!
Altri significati - Si può lasciare anche qualcosa (ho lasciato la bicicletta lungo la strada), sia nel senso di dimenticare, scordare, sia in quello di abbandonare o riporre. Abbandonare è il sinon. più marcato, che implica un «lasciare per sempre, volersi liberare»: i ladri hanno abbandonato la macchina in aperta campagna. Mentre riporre indica, più formalmente di l. e di mettere, un «lasciare al suo posto»: ha riposto l’auto nel garage. Lasciare vuol anche dire «cessare di fare qualcosa»: quanto sono io contenta che abbia lasciato il gioco! (C. Goldoni). I sinon. più com. sono abbandonare, mollare e piantare (spec. se si tratta di un lavoro o di un’attività: ci stavamo divertendo, quando ha mollato tutto sul più bello). Interrompere è più adatto ad attività protratte: ha interrotto gli studi a sedici anni. Rinunciare s’addice ad attività e, soprattutto, a notevoli opportunità o beni materiali o spirituali: se te ne vai rinunci a ogni possibilità di carriera. Meno com. è l. col sign. di «cessare di»: l’Inghilterra non lasciava di prepararsi diplomaticamente e militarmente (B. Croce), con i sinon., meno ricercati, interrompere e smettere. Lasciare ha poi tutta una serie di sign. molto com., e più concreti, in cui si contrappone ora a reggere, ora a tenere, o a tirare e sim. Il sinon. più adatto è mollare, anche in espressioni come mollare l’osso,la presa e sim., con valore anche fig. di «arrendersi, desistere». I contr., a seconda dei contesti, saranno premere, reggere, spingere, stringere, tenere, tirare: se lasci la corda rischi di cadere; non lasciare la porta, perché sbatte; ha lasciato la mia mano e ha cominciato a camminare da solo.