lastra
s. f. [etimo incerto]. – 1. In genere, corpo che abbia due dimensioni prevalenti rispetto alla terza (lo spessore) e con le facce maggiori parallele e per lo più rettangolari: una l. di marmo, di ferro, di zinco, di vetro, di cristallo, ecc.; tetto a lastre d’ardesia; l’acqua della vasca era coperta da una spessa l. di ghiaccio (parlando di metalli è più specifico il termine lamiera). In varie regioni, il termine è usato assol. per indicare il vetro delle finestre e sim.: s’è rotta una l.; applicare le l. al telaio. Nell’uso tosc., lastre, assol., quelle di pietra che formano il pavimento delle vie lastricate: strade a lastre; consumare le l., di chi cammina molto o ripassa spesso per una via. 2. a. In fotografia, sottile piastra, generalmente rettangolare, di vetro trasparente, a facce piane parallele, su una delle quali è disteso uno strato di emulsione sensibile; era usata in passato per ottenere negativi o diapositive di grande formato, ed è oggi sostituita da pellicole piane di materiale sintetico. L. nucleare, lastra fotografica con emulsione a grana molto fine usata in laboratorio per la rivelazione di particelle cariche elettricamente (elettroni, protoni, ecc.). b. Nel linguaggio com. il termine è usato spesso come sinon. di radiografia (spec. col verbo fare): farsi una l. del torace; nell’uso pop. anche al plur.: farsi le lastre, una radiografia. c. L. correttrice di Schmidt: in ottica, lastra di vetro con una faccia opportunamente sagomata, che si pone, nel telescopio detto appunto di Schmidt, davanti allo specchio sferico per correggerne l’aberrazione di sfericità. 3. In tipografia, nome generico dei clichés non montati; possono essere di piombo e antimonio (stereotipia), di rame o zinco (fotoincisione, fotolitografia). ◆ Dim. lastrina, lastrétta, lastrettina, lastrùccia, lastricina, lastricciòla, lastrolina; accr. lastróne m. (v.).