lavoro povero
loc. s.le m. Occupazione remunerata con un salario talmente modesto che non permette di superare la soglia di povertà. ◆ «Occorre rompere il circolo vizioso della povertà, proprio nel momento in cui si affaccia l’inquietante fenomeno del “lavoro povero”, cioè quelle forme di attività remunerate che non consentono a un individuo – soprattutto donne – di uscire dalla soglia di povertà» [Sergio Cofferati]. (Repubblica, 8 novembre 2000, p. 36, Economia) • A voi non piace il come si sta definendo nella sua composizione il nuovo mercato del lavoro. «Io vedo che appare comunque certo che tale incremento delle forze di lavoro, oltre ad essere per larga parte dovuto all’aumento del lavoro indipendente in forma di impresa individuale o di “prestazione” singola, e quindi molto fragile, è un lavoro “povero” che non crea valore aggiunto» [Donata Canta intervistata da M(arina) Cas(si)]. (Stampa, 2 settembre 2003, p. 36, Cronaca di Torino) • Precari, co.co.pro, a termine: un universo di lavori poveri, insicuri, a bassa considerazione sociale che sfiora i due milioni di persone. Ma se il governo rimanesse in carica cinque anni e ci ritrovassimo nel 2011 cosa sarebbe cambiato e come? (Antonia Jacchia, Corriere della sera, 21 febbraio 2007, p. 33, Economia).
Composto dal s. m. lavoro e dall’agg. povero, ricalcando l’espressione ingl. work-poor.
Già attestato nel Corriere della sera del 23 ottobre 1993, p.34, Spettacoli (Gloria Pozzi).
V. anche lavoratore povero, working poor.