linguaggio
linguàggio s. m. [der. di lingua]. – 1. Nell’uso ant. o letter., e talora anche nell’uso com. odierno, lo stesso che lingua, come strumento di comunicazione usato dai membri di una stessa comunità: parlare con proprietà di l.; Questi è Nembrotto per lo cui mal coto Pur un l. nel mondo non s’usa (Dante), per il cui cattivo pensiero, di innalzare la torre di Babele, gli uomini non parlano una medesima lingua; D’una terra son tutti: un linguaggio Parlan tutti (Manzoni). 2. a. In senso ampio, la capacità e la facoltà, peculiare degli esseri umani, di comunicare pensieri, esprimere sentimenti, e in genere di informare altri esseri sulla propria realtà interiore o sulla realtà esterna, per mezzo di un sistema di segni vocali o grafici; e lo strumento stesso di tale espressione e comunicazione (inteso in senso generico, senza riferimento a lingue storicamente determinate): il problema dell’origine del l.; l. articolato (detto anche orale, verbale, parlato); l’apprendimento, lo sviluppo del l. (nell’infanzia); disturbi, difetti del l., riguardanti l’articolazione, la comprensione, la lettura e il corretto uso della parola nel comunicare; la localizzazione dei centri del l., delle aree del l., nel cervello umano, e l’individuazione dei processi del l., come oggetto di studio anatomo-clinico, in fisiologia e in patologia. Filosofia del l., la riflessione filosofica sull’insieme delle teorie concernenti la natura, la struttura e le funzioni dei segni linguistici (e, più in generale, dei comportamenti comunicativi) che ricorrono nei sistemi dei linguaggi naturali e artificiali, in partic. quelli scientifici: tale riflessione, pur avendo impegnato molti filosofi fin dall’antichità, solo nel sec. 20° ha raggiunto autonomia teorica, soprattutto grazie all’apporto di nuovi àmbiti disciplinari, come la logica simbolica, la linguistica, l’epistemologia, la psicologia, la semiotica e la teoria dell’informazione. Per la psicologia del l., v. psicolinguistica. b. estens. Facoltà di esprimersi attraverso altri segni, sia gesti (l. gesticolatorio o gestuale o mimico; l. dei sordomuti; l. degli occhi, dei cenni), sia simboli (per es., il l. dei fiori, consistente nell’attribuire a ogni varietà e colore di questi un particolare significato). In partic., l’insieme dei mezzi espressivi e stilistici, diversi dalla parola, che sono peculiari delle varie arti: il l. della musica; il l. delle arti figurative; il l. cinematografico. c. Per analogia, la capacità degli animali di comunicare informazioni ad altri membri della propria specie per mezzo di segnali chimici (percepiti attraverso il gusto, l’olfatto) o fisici (percepiti attraverso l’udito, il tatto, la vista), a seconda dell’ambiente in cui vivono, del grado di acuità sensoriale per i diversi stimoli e del tipo di informazione che deve essere fornito (riconoscimento del sesso, segnali di allarme, di presenza di cibo, ecc.): il l. delle termiti, delle api, delle formiche; il l. degli uccelli, dei pesci, ecc. d. In usi fig., la possibilità che alcune cose inanimate o astratte hanno (o che a loro si attribuisce) di «parlare» all’uomo, di comunicare cioè informazioni, ispirare sentimenti, esercitare suggestioni varie: il l. delle cose, dei fatti; il l. del vento, degli alberi, della natura; il l. degli antichi monumenti. 3. Modo individuale di esprimersi, sia per un uso particolare della lingua, considerato sotto l’aspetto formale (l. raffinato, volgare, triviale, affettivo, dialettico, ecc.), sia per l’uso di un proprio codice linguistico (l. convenzionale; l. infantile; talora con riguardo a caratteri stilistici: il l. di Dante, di Ariosto, di D’Annunzio, ecc.). Anche di una classe d’individui, di un determinato ambiente professionale o gruppo sociale (con riguardo al lessico, alla fraseologia, alla nomenclatura, ecc.): l. poetico, letterario, filosofico, tecnico, scientifico, militare, marinaresco, burocratico; l. giornalistico, pubblicitario; il l. dei medici, degli avvocati; i l. settoriali, speciali o specialistici; il l. comune, quotidiano, familiare, popolare, ecc. Spesso s’intende piuttosto il tono, abituale o occasionale, del discorso: nobiltà, semplicità di l.; tenere o usare un l. dignitoso, franco, severo, insultante, sconveniente; gli parlò con l. paterno; che razza di l. è questo?; ti consiglio di cambiare linguaggio. E in senso fig., con riferimento ad alcune qualità del discorso o al sentimento ispiratore: parlare il l. del cuore, dei sentimenti, della ragione. 4. In diretta o implicita contrapp. al linguaggio verbale, costituito dalle lingue storico-naturali (per cui esso è chiamato anche l. naturale), sono presi in considerazione in diverse scienze e tecniche varî tipi di l. artificiali, o simbolici, formati da cifre, lettere, simboli, codici usati convenzionalmente, sulla base di norme prefissate, per esprimere teorie o concetti in modo non ambiguo o per esplicitare e rendere suscettibili di analisi le connessioni formali di un sistema logico (è il caso dei l. formalizzati della matematica e della logica), per comunicare informazioni, dare istruzioni, richiedere l’esecuzione di determinate operazioni, e simili. Sono tali, per es., i varî l. di programmazione usati per esprimere le istruzioni dei programmi con cui si fanno eseguire ai calcolatori elettronici le operazioni desiderate; in partic., l. (di) macchina, linguaggio direttamente interpretabile da parte dell’unità centrale del calcolatore in termini di operazioni logiche sui registri di memoria e di lavoro; l. simbolico (o l. evoluto o l. di livello elevato), linguaggio che ammette istruzioni complesse, basate su codici alfanumerici (spesso mnemonici) ideati in funzione delle esigenze specifiche delle applicazioni previste (calcoli matematici, gestione di dati, ecc.), e che vengono poi tradotte (mediante appositi programmi compilatori, assemblatori o interpreti, per i quali v. le singole voci) dallo stesso elaboratore in linguaggio macchina. Con riferimento a questa traduzione, il linguaggio simbolico di partenza si chiama spesso l. (o codice) sorgente, e il linguaggio macchina l. oggetto (e i programmi scritti in questi linguaggi si chiamano rispettivam. programmi sorgente e programmi oggetto).