localaro
s. m. Chi ama girovagare da un locale all’altro; esercente di un locale pubblico, in particolare nel settore della ristorazione, poco fornito o del tutto privo di specifiche competenze professionali. ◆ In realtà i tiratardi si dividono in due categorie: i «localari» per vocazione, che girano alla ricerca di posti nuovi dove bere e (eventualmente) mangiare qualcosa, e i «professionali», cioè coloro che sono portati dal loro lavoro a nutrirsi tardi: cantanti, attori, giornalisti, sportivi e intellettuali. (Gigi Padovani, Stampa, 30 giugno 1999, p. 35, Cronaca di Torino) • «a Roma nessuno vuole più chiamarsi trattore. A Roma ormai esistono quasi solo i localari. [...] Sì, quelli che aprono i locali. Ma mica sono ristoratori quelli» [Antonello Colonna]. (Giornale, 27 ottobre 2002, p. 44, Roma Cronaca) • Il verde Maurizio Baruffi, nel dire sì alla riapertura della Vetra, ricorda che i vituperati bonghisti, a differenza di certi localari middle o upper class che affollano i pub, «non hanno mai provocato una rissa, è gente mite». (Stefano Rossi, Repubblica, 14 luglio 2004, Milano, p. VII).
Derivato dal s. m. locale con l’aggiunta del suffisso -aro.