lucere
lùcere v. intr. [lat. lūcēre, der. di lux lucis «luce»], ant. e poet. – Mandar luce, risplendere. Usato soprattutto nella 3a pers. sing. e pl. del presente (luce, lùcono), dell’imperfetto (lucéva, lucevano), del cong. imperf. (lucésse, lucéssero); altri tempi (come il cong. pres. luca, il futuro lucerà) e altre persone sono più rari: non è tutt’oro quel che luce (prov.); O entenebrata luce ch’en me luce (Iacopone); Tu scaldi il mondo, tu sovr’esso luci (Dante, del sole); [la stella] Lucifero che ancora luceva nella biancheggiante aurora (Boccaccio); Splendono già le punte delle lancie, Lucono gli elmi, brillano gli osberghi (Pascoli). In senso fig. (come sinon. meno com. di splendere, brillare): facevo lucere innanzi alla gioventù uno schema di grammatica filosofica (F. De Sanctis); detto in partic. della gloria, della virtù, della bellezza, e d’altre qualità o sentimenti o condizioni: E se la fama tua dopo te luca (Dante); Virtù non luce in disadorno ammanto (Leopardi); Luceva la sua gaia giovinezza (Carducci); una speranza luceva nel profondo della mia anima (D’Annunzio). ◆ Part. pres. lucènte (v. la voce).